Nei tre precedenti post abbiamo visto che nella famosa massima greca Conosci te stesso sono presenti in filigrana diversi elementi: dopo aver parlato di dio, interiorità, comunità, ora dobbiamo affrontare gli ultimi due elementi: scienza e profezia. Ancora più che nei precedenti post, apparirà ora molto ardito l'accostamento: che legame c'è tra scienza e profezia, cioè tra ragione e fede? Per l'uomo occidentale che è abituato da secoli a vivere nella più totale frammentazione, interiore ed esteriore, non sembra esserci alcun collegamento. Non era così per gli antichi greci. E proviamo ora a capirne il motivo.
L’uomo non è solo un animale sociale o politico, è anche un animale intellettuale.
L'intelletto è una delle due facoltà spirituali dell’uomo (l'altra è la fede). Spirituale è tutto ciò che permette all’uomo di rapportarsi con la verità, di contemplarla e di uniformarsi ad essa.
Intelletto e fede hanno in comune lo spirito profetico. La scienza è profetica perché è profetico tutto ciò che in qualche modo anticipa il futuro.
È necessario svuotare la parola profezia di eccessivo misticismo. L’attività principale con cui l’uomo profetizza è l’attività scientifica (e l’attività razionale in generale). Con la scienza cerchiamo di prevedere il futuro (nei limiti dell’intelletto umano) e quindi di prevenire eventuali pericoli futuri. Se il meteo mi dice che oggi pioverà prenderò l’ombrello prima di uscire di casa; se la medicina mi dice che l'amianto causa il mesotelioma (un tumore aggressivo della pleura), eviterò di espormi a questa sostanza; e così via. La scienza mette in guardia l’uomo dai pericoli futuri. In questa accezione scienza e profezia sono praticamente sinonimi. Per questo gli antichi greci li hanno posti sotto lo stesso dio (Apollo). La scienza è l’attività profetica ordinaria dell’uomo. Poi c’è la profezia straordinaria, si tratta di verità extrateoretiche che non possono essere dimostrate con la ragione e che appartengono, pertanto, al campo della fede. Gli antichi greci chiamavano mantica questo genere di attività profetica. In epoca moderna e cristiana, le profezie di Fatima ad esempio appartengono a questo genere di profezie. In ogni caso, che uno creda o non creda, queste profezie sono l’eccezione, o almeno dovrebbero esserlo; la norma è la scienza, la ragione. Gli antichi greci non passavano le giornate a consultare gli oracoli, ma a lavorare, a studiare, a cercare di comprendere con la ragione la realtà (perlomeno nel loro periodo più florido). Quindi condivido a pieno lo scetticismo che Papa Francesco aveva espresso nei confronti di Medjugorje e dei presunti messaggi che la Madonna darebbe al mondo con cadenza periodica per il tramite di alcuni veggenti. Queste profezie rischiano di incoraggiare i fedeli a rimanere nell'ignoranza: perché infatti devo fare la fatica di studiare, di usare l'intelletto per capire in quale direzione sta andando l’uomo oggi se è sufficiente aspettare i (presunti) messaggi della Madonna? Chi ha fede non è esonerato dall'uso della ragione, dallo studio della storia, delle scienze, delle lingue, della matematica, della filosofia, della letteratura, ecc: credenti sì, ma creduloni no! Chi ha fede è un essere umano come tutti e, quindi, deve contribuire in base alle proprie possibilità al progresso culturale e scientifico dell'umanità e non limitarsi semplicemente a vivere del lavoro intellettuale altrui. Tutti gli esseri umani hanno un intelletto, non solo alcuni. L'evangelica povertà di spirito non è sinonimo di ignoranza intellettuale. Questa frattura tra fede e ragione, alla quale purtroppo anche i cristiani hanno contribuito, è parte della decadenza civile dell'Occidente. Una tale frattura non è la normalità nelle civiltà sane. Papa Benedetto XVI aveva provato a ricomporla ma il suo tentativo purtroppo è caduto nel vuoto, perché molti sono impegnati a far entrare la politica nella fede (per fede intendo la totale disponibilità a servire la Verità), anziché fare il contrario, e pertanto di Benedetto XVI e di Francesco sanno solo dire che uno era conservatore e l’altro progressista. Per non parlare delle teorie complottiste sui due Papi, a riprova che se ci sono delle difficoltà nella fede ci sono anche delle difficoltà nell’uso della ragione, e viceversa. Il complottismo in generale è segno di un arretramento della ragione a favore della componente emotiva, è un segno di paranoia, della quale è responsabile non solo il popolo ma anche la cosiddetta élite, la quale passa più tempo a disprezzare la base che ad elevarla culturalmente.
Ma torniamo al tema del post.
Nell’atto di uniformarsi alla verità l’uomo pratica la giustizia, essendo la giustizia l'attributo più importante della verità. È contemplativo tutto ciò che permette all’uomo di conoscere la verità con l’unico fine di conformarsi ad essa. L’uomo può anche usare la verità, ad esempio le conoscenze scientifiche, per migliorare le proprie condizioni di vita o per accrescere il proprio benessere. Questo è un uso utilitaristico della verità, pienamente legittimo, purché non prenda il posto della dimensione contemplativa, altrimenti l’uomo si riduce solamente a funzionare come una macchina. Il motivo principale per cui oggi temiamo di essere sostituiti dall'intelligenza artificiale è perché abbiamo perso la dimensione contemplativa: se l'uomo deve solo funzionare allora una macchina funzionerà sempre meglio di un uomo. E quindi il timore di essere sostituiti dalle macchine è pienamente legittimo. Ma l'uomo non deve solo funzionare, deve contemplare la verità e diventare come essa, cioè diventare giusto. Di un uomo si può dire che è giusto; di una macchina non si può dire che è giusta, si può dire solo che è funzionante o non funzionante.
Ci sono situazioni in cui la dimensione contemplativa e la dimensione utilitaristica entrano in conflitto, cioè situazioni in cui la verità è incompatibile con ciò che è necessario per preservare la propria vita. Se i giudici Falcone e Borsellino avessero dato la priorità alla dimensione utilitaristica dell'esistenza non sarebbero morti ammazzati ma non sarebbero nemmeno stati giudici e, soprattutto, uomini giusti.
Ma che cos'è la verità?
Ponzio Pilato dà voce ad una domanda che ogni essere umano si porta nel cuore. "Che cos'è la verità?", chiede Pilato a Gesù nei momenti drammatici che precedono la sua crocifissione... Gesù tace... l'uomo e la Verità si guardano negli occhi... non c'è bisogno di parlare... Pilato è preoccupato che la sommossa popolare che si è scatenata contro Gesù possa fargli perdere la poltrona di governatore e, quindi, il potere, le comodità, il benessere. Sa benissimo che Gesù è innocente, ma è spaventato da quella massa di Giudei che urla "Crocifiggilo"; non comprende quella manifestazione di aggressività contro un innocente. Né, a dir il vero, fa molti sforzi per comprenderla, per interrogarsi sul perché la folla voglia uccidere “quel giusto” - come in precedenza aveva definito Gesù la moglie di Pilato mettendolo in guardia dal seguire la folla in quel processo -. Prova timidamente a convincere i Giudei a lasciarlo libero dopo averlo fatto flagellare, illudendosi che la folla si sarebbe accontentata della flagellazione, ma non c'è verso: "Crocifiggilo!", continuano ad urlare. A questo punto Pilato cede definitivamente: sceglie la politica (cioè il consenso popolare) e sacrifica la Verità. Aveva provato fino all'ultimo a tenerli insieme; a dir il vero, già con la decisione della flagellazione aveva sacrificato la Verità perché Gesù era innocente e quindi non doveva nemmeno essere flagellato - grande monito per chi si illude di tenere il piede in due scarpe -, ma adesso compie il ripudio definitivo della Verità: fa condannare a morte Gesù ed entra nella storia della salvezza dalla porta sbagliata: una grande moltitudine di cristiani nei secoli e millenni a venire professerà il proprio credo dicendo: “patì sotto Ponzio Pilato… patì sotto Ponzio Pilato… patì sotto Ponzio Pilato…”
Da fonti storiche sappiamo che Pilato verrà destituito nel 36 d.C.: ciò che temeva al momento della condanna di Gesù si è verificato lo stesso, con l'aggravante del disonore. Potevate scegliere tra il disonore e la guerra, avete scelto il disonore e avrete la guerra. Tutti perderemo le poltrone sulle quali siamo seduti: ciò che conta non è essere destituiti - lo saremo tutti -, ciò che conta è se al momento della nostra destituzione avremo la Verità dalla nostra parte o l'avremo contro di noi.
Abbiamo quindi due esempi opposti: da un lato Pilato, che ha preferito ciò che è comodo a ciò che è vero; e dall’altro i giudici Falcone e Borsellino che hanno fatto l’esatto contrario. Si ricorda che Falcone e Borsellino sono stati santificati (laicamente, s'intende) solo dopo la morte; ma in vita avevano avuto anche loro la "folla" contro, erano stati osteggiati da colleghi, da giornalisti e forse anche da politici.
Da questi due esempi opposti possiamo dire che la verità è oggettiva, è sempre oggettiva. Se la verità fosse soggettiva coinciderebbe con ciò che è utile, con ciò che conviene a me. Ma abbiamo appena visto che non è così. E la verità non è soggettiva anche in un altro senso: l'uomo non la possiede mai; questo vale sia in ambito scientifico, nessuno studioso esaurirà mai la conoscenza di una materia, di un campo del sapere umano; sia nelle religioni: nessun popolo potrà mai dire "siccome noi possediamo questa dottrina allora possediamo la verità". Anzi, il verbo possedere è nemico della verità: la verità si può contemplarla, non possederla. Gesù è molto duro nel Vangelo con i farisei, gli scribi ed i dottori della legge, cioè con quelli che pensano di poter controllare la verità - e, quindi, la vita propria e altrui - perché hanno acquisito la titolarità di una cattedra, la padronanza di qualcosa o perché godono della stima del pubblico. Per smontare tutte queste apparenti sicurezze, Gesù usa nel Vangelo parole molto sferzanti: “I pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti nel regno di Dio”. Per ricordarci che gli applausi del pubblico non conteranno nulla quando calerà il sipario della nostra vita (i pubblicani e le prostitute rappresentano quelle categorie di esseri umani che godono di scarsissima stima sociale).
Nelle scienze si usano metodi rigorosi non per controllare la verità ma per controllare i nostri enunciati, affinché non siano solo opinioni soggettive ma abbiano una corrispondenza con la verità, che in ogni caso non conosceremo mai perfettamente e definitivamente.
C’è un altro nemico della verità, oltre al possesso: la folla. Per evitare fraintendimenti di tipo elitario, diciamo subito che la folla non va intesa in senso freudiano come massa di esseri umani che si comportano in modo impulsivo ed irrazionale. Come è noto, Freud aveva una visione fortemente negativa delle masse, come anche dei capi che le manipolano. Ma disprezzare la massa equivale a disprezzare l’uomo, in quanto la dimensione sociale è costitutiva della natura umana. È vero che nel periodo storico in cui è vissuto Freud l’uomo ha dato il peggio di sé nella dimensione sociale e politica, ma bisogna fare attenzione a non generalizzare. A non cadere nel solito errore di confondere la degenerazione di un fenomeno con il suo stato essenziale. Noi viviamo in una civiltà che è in uno stadio avanzato di decadimento, pertanto consideriamo coessenziale ciò che è solo parte della parabola discendente di una civiltà. Che una civiltà nasca e muoia è assolutamente normale, è nell’ordine dei processi storici; dobbiamo però prestare particolare attenzione ai fenomeni di degenerazione morale che nelle civiltà decadenti sono pervasivi e che intaccano il rapporto che ognuno di noi ha con la verità. Ognuno è responsabile delle scelte che compie di fronte alla verità indipendentemente dal periodo storico in cui si trova. Ognuno deve compiere una scelta: o ciò che è vero o ciò che offre il mondo. Il mondo offre il consenso, l'approvazione degli uomini, l'illusione di avere la propria vita sotto controllo: il frutto di tutto questo è l'ipocrisia. Quindi tornando alla folla, non è la folla in quanto tale ad essere nemica della verità, ma il desiderio dell’uomo di volerne l’approvazione ed il consenso. È la brama di consenso di Pilato che lo porta ad allearsi con la folla e, di conseguenza, a rendersi nemico della verità.
Quante volte anche noi sacrifichiamo la verità per il desiderio eccessivo di essere approvati? Quante energie spendiamo per vivere non un’esistenza vera e libera ma per rimanere succubi e schiavi dell’opinione che gli altri hanno di noi? Quanta esistenza abbiamo sacrificato per inseguire la chimera di avere la nostra vita (e quella degli altri) sotto controllo? Quante sofferenze abbiamo cagionato a noi stessi e agli altri per la brama di consenso e per la smania di controllo?