domenica 5 ottobre 2025

L’autocoscienza

Questo blog è nato con l’esplicito obiettivo di far dialogare psicologia e filosofia. Un dialogo per dirsi tale deve far parlare entrambi gli interlocutori e soprattutto deve farli parlare per sé e non a nome dell’altro, altrimenti non è un dialogo ma è una prevaricazione. Ultimamente assistiamo a una prevaricazione della psicologia, che parla anche a nome di altre discipline; in modo particolare parla a nome della filosofia e della religione, con la corresponsabilità degli appartenenti a queste ultime due discipline che, tranne rare eccezioni, hanno deciso di tirare i remi in barca e vivere nel ricordo nostalgico dei tempi d’oro passati. Nel post precedente ho denunciato l’inattività colpevole dei cristiani, bisogna però anche attestare la dipartita dei filosofi, i quali stanno osservando un periodo di digiuno dopo aver fatto indigestione di Hegel e, soprattutto, di Marx. Nell’attesa che termini la loro convalescenza gli auguriamo una pronta guarigione perché abbiamo bisogno di loro.

Ovviamente non mi riferisco a quei filosofi e quei religiosi che si sono pienamente adattati allo zeitgeist, allo spirito del tempo. Questi purtroppo sono nemici della verità essendo lo spirito del tempo da sempre menzognero. Mi riferisco a coloro i quali sono coscienti delle menzogne che ci circondano ma preferiscono ritagliarsi una nicchia di comodità e contemplare i fasti del passato, come se la verità fosse un verbo che si declina solo al passato.

Sul tema della coscienza e dell’autoconsapevolezza, ad esempio, filosofia e religione avrebbero da dire molto più della psicologia e della psicoterapia. In psicoterapia il massimo grado di consapevolezza che si può raggiungere è quella riguardante i propri pensieri, desideri, emozioni, ecc., cioè la coscienza, più o meno immediata, di essere un’individualità separata da altre individualità. Chi ricerca attraverso la psicoterapia altri livelli di consapevolezza fa un buco nell’acqua. Fa eccezione la psicoanalisi, che permette di accedere a più profondi livelli di consapevolezza, ma lo fa non in quanto psicoterapia ma in quanto filosofia. Quando gli psicoanalisti gettano nuova luce sulla nostra interiorità lo fanno in qualità di filosofi, anche se non lo dicono esplicitamente. Gli psicoanalisti sono filosofi che non ci hanno creduto abbastanza (alla filosofia), o psicologi che ci hanno creduto troppo (alla psicologia). Rimangono quindi in una terra di mezzo, mezzi psicologi mezzi filosofi. Chi scrive non ama le cose di mezzo, ma nell’attesa del ritorno sulla scena dei filosofi vanno benissimo gli psicoanalisti. Anzi, dirò di più, chi oggi vuole fare seriamente filosofia deve partire dalla psicoanalisi, segnatamente da quella freudiana, e abbandonare una volta per tutte le ipostasi del Capitale e del Lavoro, delle quali i filosofi per troppo tempo hanno fatto indigestione. Non esiste né il Capitale né il Lavoro, esiste l’uomo con la sua soggettività. Non esiste nemmeno il capitalismo, esiste da sempre l’uomo con il suo desiderio di accumulare ricchezze e di vivere di rendita. Questo desiderio è presente nel capitalista come nell’operaio - per usare le categorie nelle quali sono rimasti impantanati i filosofi -. Non sono le strutture economiche che fanno l’uomo, è l’uomo che fa le strutture economiche. Capisco che l’uomo spesso è noioso e poco stimolante, ma questo non è buon motivo per andarsi a cercare realtà che non esistono.

Torniamo all’autocoscienza. Molte persone vengono da noi psicologi per vedere soddisfatti i bisogni emotivi primari, cioè per sentirsi confortati, ascoltati, per ricevere calore emotivo e protezione. Perché in un’epoca in cui le relazioni naturali (cioè relazioni familiari, amicali, ecc.) sono precarie, le persone non possono veder soddisfatti questi bisogni nelle relazioni della loro vita. Ed il ripetuto mancato soddisfacimento di questi bisogni può portare a seri disturbi mentali, per i quali poi si rende necessario l’intervento dei professionisti della salute mentale. Ma questa non è vera introspezione. 

La vera introspezione, che conduce alla coscienza di sé, appartiene alla dimensione spirituale. A cui si può accedere però solo dopo che i bisogni psicologici di base sono stati soddisfatti. Non è quindi mia intenzione banalizzare in alcun modo il lavoro psicologico. Intendo solo dire che il lavoro psicologico non esaurisce il lavoro esistenziale dell'uomo: c'è anche un lavoro spirituale da fare. 

Non si confonda la spiritualità con le moderne tecniche di meditazione di derivazione orientale. Noi in Occidente le usiamo al di fuori di una cornice spirituale, le usiamo per far funzionare meglio l’Io. Non ho nulla contro questo tipo di utilizzo in psicologia, semplicemente non si tratta di spiritualità; e d’altra parte non è compito della psicologia occuparsi di spiritualità.

Perché queste tecniche non possono essere considerate vera spiritualità (almeno da noi in Occidente)? 

Perché la spiritualità, come qualsiasi cosa seria della vita, necessita di una dimensione etica condivisa e codificata, necessita di quelli che nelle religioni si chiamiamo precetti o comandamenti. Anche nel buddismo sono presenti dei precetti da rispettare che, tra l’altro, sono molto simili al decalogo ebraico-cristiano. Nel mondo ci sono diverse religioni, la vita spirituale però è una sola. Ed esige che si rispettino delle regole. D’altra parte, se uno mette piede per la prima volta in una palestra deve farsi seguire da un istruttore se non vuole farsi male sotto il carico dei pesi, e poi deve anche seguire una dieta. Se vogliamo fare sport seriamente ci sono delle regole da rispettare, non solo durante l’allenamento ma anche prima e dopo. Generalmente quando si tratta dei benefici da apportare al nostro corpo comprendiamo ed accettiamo la necessità di affidarci a degli esperti e seguire delle regole, anche ferree. Nella vita spirituale invece non vogliamo nessun tipo di regola, nessun codice di condotta, pretendiamo che funzioni il fai-da-te, che sappiamo non funzionare in nessun altro ambito della nostra vita. In Occidente spesso facciamo gli apprendisti stregoni della spiritualità e il rischio di farsi male è molto alto. Basta vedere i tassi di divorzi, di suicidi, di disagi relazionali di vario tipo, di violenze per averne un’idea. 

Ma abbiamo tanti psicologi.

Ecco appunto, abbiamo tanti psicologi ma abbiamo lo stesso tanti problemi. Perché la radice di questi problemi è spesso (non sempre ovviamente) in un disordine della vita spirituale. È stato già detto (qui e qui) che “spirituale” e “psicologico” non coincidono e che, quindi, la psicologia funziona se il disordine è prettamente psicologico. 

Chi non vuole alcun tipo di precetto o comandamento, deve rinunciare alla vita spirituale, con il rischio di rinunciare ad essere uomo, perché l’uomo si realizza pienamente solo nella vita spirituale.

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