In questo post avevo parlato delle relazioni che causano ferite psicologiche e che avevo definito “traumatiche”. Adesso parlerò delle relazioni sane, quelle che psicologicamente non ci feriscono ma ci riempiono. Quando parliamo di relazioni dobbiamo sempre ricordarci che la relazione tra due adulti è una freccia a doppia punta: entrambi gli attori partecipano attivamente alla danza, nel bene e nel male. Certo, in alcune relazioni una punta ha più peso dell’altra, pensiamo ad esempio al rapporto tra un datore di lavoro ed il suo dipendente, è chiaro che il datore ha più margini di azione sul suo dipendente di quanto ne abbia quest’ultimo sul primo. Questa asimmetria tuttavia non giustifica quel vittimismo che ci tiene bloccati nell’inazione, nell’adattamento passivo alle situazioni; che ci fa credere che la responsabilità della nostra felicità (o infelicità) sia tutta nelle mani degli altri.
Non possiamo parlare di relazioni sane se per prima cosa non riconosciamo che oggi siamo immersi in una cultura intrisa di individualismo e di narcisismo fino al midollo; che trasmette costantemente due messaggi distruttivi per le relazioni: 1) gli altri sono di impedimento al tuo successo, alla tua realizzazione; 2) i tuoi desideri sono supremi e per realizzarli sei autorizzato a fare qualsiasi cosa, anche ad usare l’altro, a calpestarlo e a sfruttarlo.
Se ci limitiamo però a riconoscere il narcisismo solo nella cultura o negli altri, alimentiamo quella visione paranoica dell’altro come nemico, che poi è proprio uno dei frutti del narcisismo. Dobbiamo fare lo sforzo di riconoscere il narcisismo dentro di noi, cioè riconoscere che dentro di noi ci sono delle ombre che si oppongono ad un vero incontro con l’altro, a delle vere relazioni. Chi cambia se stesso (in meglio), ha cambiato il mondo. Chi vuole cambiare il mondo e non parte da se stesso è ancora fermo all’adolescenza, indipendentemente da quale età anagrafica abbia.
Noi psicologi ultimamente assecondiamo un po’ troppo le adolescenze irrisolte della persone. Il primo e più importante messaggio da comunicare ad una persona che si accosta ad un percorso psicologico è il seguente: la psicologia può aiutarti a cambiare solo te stesso; non tua moglie, tuo marito, il tuo datore di lavoro o la società in cui sei inserito. Se tuo marito ti trascura, la psicologia può aiutarti a comprendere il motivo per cui sei bloccata in una relazione trascurante e non certamente a rendere più presente tuo marito. Invece ultimamente come psicologi ci prestiamo a messaggi fuorvianti: ci poniamo addirittura l’esplicito obiettivo di cambiare la società, la cultura, persino la politica.
Solitamente quando siamo bloccati in una relazione infelice è perché il nostro narcisismo ha fatto un patto con il narcisismo dell’altro. Si tratta di un vero e proprio patto con il diavolo, che bisogna riconoscere e rompere. Non intendo affatto ignorare che spesso ci sono altri vincoli (culturali, sociali ed economici) che rendono difficile uscire da una relazione, ma la psicologia deve occuparsi dei vincoli psicologici; spetta invece ad altre discipline occuparsi di sciogliere i vincoli di altra natura. Evitiamo la tuttologia, l’onnipotenza della psicologia più volte denunciata in questo blog.
E per sciogliere i vincoli psicologici si può partire solo da se stessi.
Spostiamo quindi lo sguardo dall’esterno all’interno e vediamo cos’è il narcisismo che ognuno di noi si porta dentro.
Il narcisismo è la tendenza a ripiegarci su noi stessi, a negare l’altro e i suoi bisogni; a sfruttarlo per i propri fini, ad usarlo come merce o come oggetto di piacere. E siccome ciò che facciamo agli altri lo facciamo di conseguenza anche a noi stessi: se usiamo gli altri come oggetti, tratteremo anche noi come oggetti e permetteremo agli altri di trattarci come tali. Chi asseconda il proprio narcisismo non vuole appartenere a nessuno, ma così in realtà non appartiene nemmeno a se stesso.
Abbiamo tutti un narcisismo contro cui dobbiamo combattere. Chi pensa di non avere ombre è perché non ha mai acceso la luce dentro di sé, e pertanto: o vive in quella ingenuità incantata che è la prima preda del male secondo lo psicoanalista J. Hillman; o vive proiettando le ombre all’esterno vedendo il male solo negli altri (quest’ultimo è lo sbocco paranoico del narcisismo). C’è inoltre un terzo atteggiamento, oltre a quello di chi si rifiuta di guardarsi dentro, ed è quello di chi le ombre non le ignora, le vede, ma scende troppo a compromessi con esse; le asseconda, le ricopre di un’aurea di romanticismo. Nell’immaginario artistico dell’Ottocento, le figure dei “dandy”, dei “poeti maledetti”, dei “viveur” appartengono a questa categoria di persone, che giocano in realtà più con la morte che con la vita. Anche la psicoanalisi, in modo particolare quella di Jung, aveva subito il fascino degli aspetti oscuri e ombrosi dell’animo umano.
Freud tuttavia era rimasto più realista, le ombre dell’animo umano le aveva definite “pulsione di morte” squarciando, di conseguenza, qualsiasi velo di romanticismo posto su di esse. Ed effettivamente non hanno nulla di romantico perché distruggono le relazioni, e quindi di riflesso noi stessi che, senza le relazioni, non possiamo né vivere né sopravvivere.
Il narcisismo si oppone a ciò che è costitutivo di una relazione: il senso di appartenenza. Noi siamo definiti dalle relazioni a cui apparteniamo; non dai successi lavorativi, dai soldi in banca o dai titoli di studio che possediamo. Non è la laurea ad esempio a definire un medico, a dargli un’identità professionale, ma il rapporto che ha con i pazienti. Se un medico non avesse pazienti, non sarebbe medico indipendentemente dai titoli di studio che possiede. Similmente, un sacerdote è definito dal rapporto che ha con i fedeli della sua parrocchia; dall’altro verso, il fedele è definito non da un rapporto astratto con Dio ma dal rapporto che ha con un determinato sacerdote di una determinata parrocchia. E così via. È comprensibile quindi che in un’epoca in cui il narcisismo dilagante ha distrutto ciò che è costitutivo delle relazioni siano molto diffusi i disagi psicologici che hanno come nucleo il senso di vuoto: se non appartengo a nessuno non posso definirmi, non posso nemmeno sapere che scopo ha la mia vita, perché questo scopo si rivela sempre in una relazione con un’altra persona.
Le relazioni sono sempre relazioni tra due persone, anche quelle tra amici. La coppia è sempre la base di una relazione. Per questo è opportuno che i rapporti di amicizia siano improntati ad una sana prudenza. Oggi si divorzia molto facilmente perché anche molto facilmente si tradisce, e si tradisce facilmente perché si ignora che le relazioni sono sempre relazioni di coppia. Anche quelle tra colleghi nei luoghi di lavoro, che oggi vedono fortunatamente la presenza di donne, oltre che di uomini. Il narcisismo esercita una forte attrazione sulla sessualità ed è alto il rischio che quest’ultima diventi il suo principale alleato, se non siamo vigilanti. Inoltre, la nostra cultura non esalta solo il narcisismo ma anche la sessualità svincolata dal primato relazionale. È questa saldatura tra narcisismo e sessualità incoraggiata a piè sospinto che rende la nostra civiltà decadente, perché si alimenta di ciò che la distrugge. Quindi è necessario una vigilanza non solo sul narcisismo ma anche sulla sessualità.
Abbiamo detto che ciò che ci definisce sul piano psicologico è il sapere di appartenere a qualcuno. Per appartenere a qualcuno bisogna in primis accettare di essere in uno stato di dipendenza dall’altro; accettare che l’altra persona sia per me come l’ossigeno che respiro. I polmoni non si ribellano all’ossigeno perché vorrebbero essere indipendenti dall’aria che respiriamo. Ribadisco: chi segue al riguardo i deliranti messaggi di autosufficienza di una società moribonda si condanna al suicidio. Tuttavia, la dipendenza deve essere accettata per essere poi (parzialmente) superata. Non tramite l’autosufficienza. Ma diventando anche noi ossigeno per gli altri. Se ci limitiamo solo a prendere l’ossigeno rimaniamo in quella dipendenza relazionale che è espressione di una immaturità psicologica. Dobbiamo anche dare amore agli altri, e non solo prenderlo. E l’amore fiorisce quando iniziamo a difenderci dal canto seducente del narcisismo tappandoci le orecchie o, meglio ancora, vincolandoci a qualcosa di solido come fecero Ulisse e i suoi compagni di viaggio.
In conclusione, alla domanda: Chi sei? Possiamo rispondere con il nome delle persone alle quali apparteniamo. Se non apparteniamo a nessuno, risponderemo come Ulisse a Polifemo: Nessuno.

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