mercoledì 17 settembre 2025

Relazioni traumatiche

Devo alla psicoanalisi lacaniana (ringrazio un collega che mi ha aiutato ad accostarmi ad un autore ostico come Lacan) l’idea che la legge paterna sia disgiuntiva rispetto ad un precedente stato di unità. I lacaniani però si spingono troppo oltre mettendo sullo stesso piano legge paterna e trauma. In generale la psicoanalisi ha il peccato originale di non distinguere chiaramente ciò che è patologico da ciò che è sano. Se tutto è patologico niente è davvero patologico.

Facciamo chiarezza.

Quando un genitore vieta al figlio di mettere le mani sul fuoco non lo fa per traumatizzarlo ma proprio per evitargli il trauma della bruciatura. La legge paterna è vera legge (cioè è un vero atto morale) se è pensata e voluta nell’interesse del figlio. Se al contrario è un semplice arbitrio genitoriale non bisognerebbe più parlare di legge ma di possesso della vita del figlio da parte del genitore (o di chi ne fa le veci), e quindi il termine più appropriato è violenza, non legge. Certamente la violenza è traumatica. Ma la legge paterna, quella vera, è protettiva perché allontana da tutto ciò che è pericoloso. 

Entriamo più a fondo nel concetto di legge paterna che rompe un precedente stato di unità, perché questo concetto è rilevante dal punto di vista psicologico. Abbiamo visto nell’esempio di prima che il divieto genitoriale allontana il bambino da un potenziale pericolo fisico.

Soffermiamoci ora sui pericoli di natura psicologica.

Abbiamo visto che la legge paterna fa la sua prima comparsa con il complesso di Edipo intorno ai 3-4 anni di vita del bambino. Quell’unità simbiotica madre-bambino che ha caratterizzato grossomodo il periodo dell’allattamento ora deve essere rotta, sia per favorire l’autonomia del bambino dalla madre (e anche della madre dal bambino) sia per evitare pericolosi deragliamenti sessuali nel rapporto madre-bambino. Il modo smaccatamente volgare con cui noi oggi esibiamo la sessualità lascia supporre che i deragliamenti sessuali nelle famiglie siano la regola non l’eccezione. Se il padre non interviene, la conseguenza è che la sessualità deborda dai suoi confini. 

Quindi possiamo fissare un primo punto: ad ogni snodo evolutivamente critico la relazione deve rompersi per far spazio ad un nuovo e più maturo modo di essere in relazione. Non necessariamente una rottura definitiva, ma quella rottura necessaria per impedire che la relazione si ripieghi in un’appropriazione dell’altro. Secondo punto da fissare: quanto vale nel rapporto madre-bambino vale anche nelle relazioni di coppia, con una differenza: il bambino non ha la possibilità di svincolarsi dalle relazioni con i genitori se queste sono disfunzionali. L’adulto invece ha la possibilità di rompere una relazione infelice. Terzo punto: la relazione genitore-bambino è infelice perché è l'adulto ad appropriarsi della vita del bambino; la relazione tra due adulti solitamente è infelice perché entrambi i partner si appropriano l'uno della vita dell’altro. Quando un partner non si accontenta di una relazione infelice manda chiari segnali di rottura, se l'altro partner li accoglie la relazione prosegue, altrimenti le strade si dividono. Quando invece le relazioni infelici si cronicizzano è perché in realtà nessuno dei due partner ha voluto spingersi fino al punto da mettere veramente in discussione la relazione. 

Non bisogna assolutamente sottovalutare le relazioni infelici, perché a lungo andare abbattono le difese psicologiche portando le persone ad accettare l'inaccettabile, a considerare normale ciò che non lo è affatto. Queste relazioni traumatizzano ripetutamente le persone le quali, se non possono contare su altre relazioni riparative (o su un percorso di sostegno psicologico), rischiano serie conseguenze sul piano psicologico.

È proprio nei confronti di queste relazioni che Gesù dice: "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa." (Mt 10,34-36). La separazione a cui Gesù fa riferimento è quella da relazioni di possesso che non rendono possibile né un vero amore né la realizzazione delle proprie vocazioni. Amore e possesso sono opposti. Anche amore e abitudine sono opposti. E siccome le relazioni umane scadono facilmente nel possesso e nell’abitudine, Gesù mette subito le cose in chiaro: non crediate che io sia venuto per lasciare le cose così come stanno, sono venuto per separarvi da relazioni infelici nelle quali vi siete accomodati. E la separazione, anche se è a fin di bene, è sempre dolorosa. Ma non tutto ciò che è doloroso è anche traumatico. 

Perché non riusciamo a porre fine a relazioni infelici? Che cosa rende dolorosa la separazione? La ferita di abbandono che ognuno di noi si porta dentro (se ne è parlato in questo post). Chiunque fa psicologia clinica seriamente prima o poi si imbatte in questa ferita. Anche chi ha buone capacità introspettive prima o poi la incontra dentro di sé. Si dirà: perché abbiamo questa ferita? Rispondo: non lo so. È come chiedersi perché c’è la morte, non lo sappiamo, ma c’è. Così è per la ferita di abbandono. 

Riconoscere che abbiamo una natura ferita è già un buon punto di partenza. Bisogna partire dal sentire questa ferita dentro di sé senza sforzarsi di comprenderla razionalmente; non la si può comprendere, va attraversata, anche se fa male, con l'aiuto di qualcuno, ma senza scaricare sull'altro la propria ferita. Ognuno ha il proprio fardello da portare...  

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