Libertà e deserto interiore sono due temi così strettamente intrecciati che non si può parlare dell'una senza parlare necessariamente dell'altro.
Tutti noi abbiamo un deserto interiore, un vuoto interiore. Dal modo in cui lo abitiamo o dal modo in cui ci rifiutiamo di abitarlo dipendono rispettivamente la nostra libertà o la nostra schiavitù. È in virtù dell'esercizio della nostra libertà nel deserto che ci sono stati dati i noti consigli evangelici di povertà (di spirito), di castità e di obbedienza.
Sono i tre pilastri su cui si regge la nostra libertà interiore. Sono le tre stelle polari interiori che dovrebbero guidare le nostre decisioni per evitare di finire schiavi delle ricchezze, dei piaceri e di altri esseri umani. Precisiamo subito al riguardo che povertà non è pauperismo; castità non è repressione della sessualità e di altri piaceri della vita; obbedienza non è sottomissione passiva agli altri. Anzi, i consigli evangelici servono proprio per evitare gli estremi opposti del pauperismo o dell'eccessivo accumulo di ricchezze; della repressione o delle dipendenze dai piaceri fisici; del dominio o della sottomissione agli altri.
Partiamo dalla castità. È necessario partire dal corpo perché, anche se esistono piaceri di natura psicologica e spirituale, se c’è un disordine nel modo in cui viviamo i piaceri della carne ci saranno inevitabilmente disordini anche nella psiche e nello spirito. Nelle dipendenze ad esempio, la sostanza, il cibo, l’attività, le persone da cui siamo dipendenti impediscono di accedere alle più alte dimensioni psicologiche e spirituali, perché c’è una netta predominanza della dimensione corporea che sovrasta la psiche e lo spirito. Questo vale anche nelle relazioni di coppia quando sono caratterizzate da dipendenza, la dimensione corporea è eccessivamente dominante: c’è un costante bisogno di vedere fisicamente l’altro, di sentirlo, di toccarlo; c’è un bisogno di fagocitare l’altro fisicamente, bisogno che si autoalimenta costantemente e non si appaga mai. Essere casti significa innanzitutto avere rispetto del corpo, proprio e altrui, e cioè: non usare il proprio corpo e quello degli altri come un oggetto di piacere per colmare un vuoto interiore.
Bisogna imparare a tollerare il vuoto interiore, bisogna tollerare che siamo mancanti. In questo post ho definito la mancanza che tutti ci portiamo dentro ferita di abbandono. Potete darle il nome che volete, chiamatela disperazione se volete, come l'ha definita recentemente Don Luigi Maria Epicoco in una delle sue solite illuminanti catechesi (devo molto a questo sacerdote, perché mi ha aiutato a vedere il ponte che c’è tra psicologia e spiritualità cristiana). Datele il nome che più vi aiuti a sentirla anche sul piano fisico ed emotivo, e non solo a concepirla sul piano intellettuale. Bisogna evitare di colmare questa mancanza, questa disperazione, questa ferita di abbandono con qualsiasi cosa che ci capiti sottomano. In questo senso si capisce meglio l’importanza del digiuno cristiano, che non è un favore che facciamo a Dio, ma un favore che facciamo a noi stessi allenando la nostra libertà ed esercitandoci a tollerare la frustrazione di stare nella mancanza.
Questa mancanza interiore è il deserto biblico: luogo inospitale dove facciamo esperienza della fame; delle tentazioni (di soddisfare questa fame con ciò che non è lecito e che non è nemmeno in grado di soddisfarla); e dei ruggiti delle nostre paure. Ma bisogna attraversare questo deserto - come Dante ha attraversato l'inferno - per raggiungere la Terra Promessa, il Paradiso, il "ben ch’i’ vi trovai".
Non c'è alternativa.
Dobbiamo attraversarlo sapendo però che non siamo soli, che siamo accompagnati da Gesù, in modo particolare da Gesù Crocifisso. Nel post precedente ho parlato dell'esperienza della Trasfigurazione come di un incontro glorioso con Dio. Questa esperienza è caratterizzata da un'intensa gioia e dalla chiarezza della propria vocazione. Anche Madre Teresa fece l’esperienza di questo incontro glorioso con Dio quando si sentì chiamata e invitata da Dio ad andare a Calcutta per aiutare i più bisognosi. Si tratta però di un’esperienza di breve durata, che serve a fare il pieno di amore da parte di Dio per poi proseguire il cammino nel deserto con Gesù Crocifisso - cioè Dio che si è spogliato della gloria -. Anche Madre Teresa ha attraversato il suo doloroso deserto interiore. In quel deserto è diventata Santa Teresa di Calcutta. Anche lei aveva il suo superfluo da cui essere liberata.
In questo cammino c'è una certezza però che non dobbiamo mai perdere: Dio è accanto a noi. Non ci abbandona mai. Nessuno potrebbe attraversare il deserto senza l'aiuto di Dio. E Dio si serve di qualsiasi cosa per guidarci nel deserto. Di una persona, di un libro, di una circostanza, di un imprevisto. Il Crocifisso ama nascondersi, dobbiamo pertanto avere la vista allenata. Dobbiamo fare la nostra parte distogliendo, per quanto ci è possibile, lo sguardo dal superfluo e poi chiedere la Grazia di scorgere la presenza di Dio laddove sembra non esserci. Dobbiamo gridare come il cieco di Gerico: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!" - "Che vuoi che io faccia per te?" - "Che io riabbia la vista!" - "Va', la tua fede ti ha salvato".
Gesù si è servito anche di Virgilio per guidare Dante nel suo personale deserto. La Guida è sempre solo Gesù. Non esiste altro Maestro.
Dobbiamo fermarci un attimo adesso per capire che cosa si intende quando diciamo che Dio si serve di qualcuno, che la Guida è solo Gesù.
È importante soffermarsi su questo aspetto perché nella realtà noi vediamo solo altri esseri umani, vediamo solo le guide e non la Guida. Qui sta il mistero dell'Incarnazione, che può essere solo in minima parte compreso con la ragione. Si manifesta il mistero dell’Incarnazione tutte le volte in cui l’azione della Provvidenza e la libertà delle creature convergono. Facciamo un esempio concreto. Se mentre cammino per strada vengo fermato da un senzatetto che mi chiede del cibo, se accolgo la sua richiesta e gli offro un pasto sto facendo del bene ad un'altra persona. Quell'azione caritatevole la compio io e non Dio, ma Dio si serve della mia azione per agire spiritualmente nel senzatetto in un modo che a me non è dato conoscere. In questo senso la Provvidenza coesiste con la nostra libertà. Non nel senso che siamo delle marionette nelle mani di Dio. Siamo veramente liberi di compiere il bene o il male. E d'altra parte, è proprio perché siamo liberi che è previsto un premio (il Paradiso) e una punizione (l'Inferno) per le nostre azioni. Tuttavia Dio, che è Spirito, è in grado di usare le nostre (libere) azioni per agire spiritualmente negli altri e in noi. Ovviamente questo discorso - che comunque non afferra tutto il mistero dell’Incarnazione - lo si può accogliere solo se si ammette che l'uomo ha anche dei bisogni spirituali, ha cioè bisogno di fare l'esperienza dell'incontro con Dio, di sentirsi amato da Dio. Se nel senzatetto vedo solo una pancia da riempire, non accetterò in nessun modo che Dio possa agire insieme a me. Qui sta la differenza netta tra la carità cristiana e la filantropia mondana. Il cristiano sa che la carità non è fine a se stessa, ma deve permettere l’incontro con Dio; altrimenti non è carità cristiana, è filantropia mondana, dove tutto si riduce a riempire una pancia. Il loro dio è il ventre...gente che ha l'animo alle cose della terra.
Dopo questa breve parentesi sull’Incarnazione, torniamo al deserto interiore.
Questa mancanza non è qualcosa di meramente corporeo, o psicologico, o spirituale; ma è connaturata a tutto il nostro essere. Quindi tutti i tentativi di colmarla e di non sentirla ricorrendo ai piaceri corporei, ai piaceri psicologici e ai piaceri spirituali sono destinati a fallire rovinosamente: non solo non risolveremo la mancanza ma svilupperemo anche delle dipendenze accumulando problemi su problemi.
Per colmare questo vuoto, possiamo usare non solo il piacere che deriva dal corpo, ma anche quello che deriva dall’attività mentale o spirituale, per esempio, potremmo ricorrere al sogno ad occhi aperti, alla fantasticheria o al rimuginino sul piano psicologico. Con la stessa finalità possiamo usare sul piano spirituale Dio, la preghiera e la verità. Questo è uno dei motivi per cui l’esperienza della Trasfigurazione dura poco, perché essendo molto piacevole c’è il rischio di diventarne dipendenti e di usare Dio come una sostanza.
Quindi dobbiamo rinunciare al piacere?
No. Bisogna passare al vaglio i frutti del piacere. Quando quest’ultimo è puro genera vita, comunione, condivisione, senso, accresce la libertà; al contrario, quando è impuro - cioè è usato per colmare il proprio vuoto - genera isolamento, sensi di colpa, rabbia, rancore e accresce la distanza dagli altri e da Dio.
Questo principio lo possiamo applicare anche alle ricchezze e alle relazioni con gli altri. Arriviamo così agli altri due consigli evangelici: povertà ed obbedienza. Ribadisco, per evitare equivoci, che la povertà evangelica non equivale a spogliarsi materialmente di tutte le proprie ricchezze, non è pertanto pauperismo; e l’obbedienza non è sottomissione. Anche qui vale quindi lo stesso e identico principio applicato alla castità: Perché sto usando le ricchezze e quali frutti interiori genera l’uso che faccio di esse? Perché voglio che gli altri mi obbediscano o perché io sto obbedendo agli altri? Il termine obbedienza è oggi desueto e genera confusione. È più facile cogliere il senso di ciò che voglio dire se traduciamo così l’obbedienza: Perché faccio ciò che gli altri mi chiedono e perché io avanzo delle richieste o impartisco delle disposizioni agli altri? Se lo faccio per non sentire il vuoto interiore ciò genera sul piano interpersonale dominanza e sottomissione: cioè sto possedendo gli altri o mi sto lasciando possedere dagli altri. E sul piano delle ricchezze ciò genera avarizia, bisogno di accumulare continuamente le proprie ricchezze ed ansia di perderle.
Per evitare un uso sbagliato del corpo, del denaro, degli oggetti, di noi stessi, degli altri e di Dio ci sono due antidoti: un sano digiuno - fisico, psicologico e spirituale -; e la carità - ovvero donare gratuitamente agli altri le nostre ricchezze materiali, psicologiche e spirituali -.
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