lunedì 22 dicembre 2025

L’Europa ed il trauma non risolto

L’Europa è bloccata internamente da un trauma non risolto il quale, come tutti i traumi, presenta delle manifestazioni tipiche: negazione (della verità); difficoltà a mandare il passato nel passato che si fa presente in forma o di fantasmi non elaborati o di una nostalgia di una presunta età dell’oro; incapacità di vivere il presente ed il futuro con realismo, senza oscillare tra pessimismo ed ottimismo (che sono le due facce della negazione della verità).

Qual è questo trauma irrisolto?

Il nazifascismo e la sconfitta nella seconda guerra mondiale.

Soldati polacchi all’interno delle rovine dell’Abbazia di Montecassino.
Fonte: wikipedia.org

È bene non separare questi due fenomeni come invece ha fatto una certa storiografia, soprattutto italiana, dal secondo dopoguerra in poi. La sconfitta del nazifascismo ha coinciso con la sconfitta dell’Europa nel secondo conflitto bellico. Ovviamente è giusto ricordare la liberazione dal nazifascismo - che è stata un bene - come facciamo in Italia ogni 25 aprile. Ma tale data più che una festa dovrebbe essere il ricordo di un lutto; dovrebbe quindi favorire l’elaborazione del lutto e non negarlo.

Non ci siamo liberati da noi stessi: siamo stati sconfitti.

Se le vicende belliche non avessero preso la piega che hanno preso, gli italiani sarebbero rimasti convintamente fascisti, come lo erano alla vigilia della scoppio della seconda guerra mondiale. Churchill rimase colpito nel constatare come gli italiani da 45 milioni di fascisti si fossero rapidamente trasformati in 45 milioni di antifascisti. Per carità, cambiare idea è segno di intelligenza, soprattutto dopo che si sono commessi errori gravi, ma dietro tale repentino cambiamento c’è la negazione di ciò che siamo stati. Il fascismo purtroppo è stato un frutto marcio della nostra libertà che, ricordo, è tale proprio perché implica la possibilità che possa essere usata male. Abbiamo voluto la guerra, e l’abbiamo persa. Siamo stati sconfitti dalla Storia. 

Sconfitti. Non vincitori. 

Perdere una guerra mondiale non è come perdere una partita a tressette ai giardinetti della nostra città. Domani si fa un’altra partita e amici come prima. Non funziona così. Il clima prospero e frivolo che ha caratterizzato l’Europa Occidentale nel secondo dopoguerra ha inevitabilmente fatto perdere di vista tale rilevante aspetto.

Cosa comporta perdere una guerra mondiale?

Comporta essere soggetti all’influenza delle potenze vincitrici che, per fortuna, di quelli che sono nati da questo lato della cortina di ferro, erano gli USA. I quali, almeno su di noi, hanno esercitato la loro influenza in modo non oppressivo, al contrario di quanto ha fatto l’URSS con i paesi dell’Est Europa, che oggi sono giustamente spaventati all’idea di finire nuovamente sotto il dominio russo. 

Altro aspetto che ignoriamo: senza la tutela americana, cioè senza le basi NATO, saremmo finiti anche noi sotto il controllo russo e l’Europa Occidentale non avrebbe mai goduto della prosperità e della libertà di cui ha goduto nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale. 

Il fatto che non ci siamo più occupati di difesa - perché abbiamo perso una guerra - ha prodotto in Europa un pacifismo che, come tutte le ideologie, è falso e non aderente alla realtà. La necessità di difendere i propri confini non è mai venuta meno, né nel mondo né tantomeno in Europa. Semplicemente lo hanno fatto gli americani per noi, lasciandoci liberi al termine della guerra di occuparci della nostra ricostruzione e della nostra ripresa economica. 

Oggi gli americani per motivi che non ho ben chiaro - non sono esperto di geopolitica - non vogliono più farlo o, comunque, vogliono che gli europei si riapproprino della difesa dei loro confini. 

Di questo dovremmo essere contenti, perché significa avere maggiori margini di libertà (sperando di non usarla come abbiamo fatto l’ultima volta). Dovrebbero essere maggiormente contenti proprio quelli che non hanno mai avuto particolare simpatia - per usare un eufemismo - verso l’influenza americana. 

A patto però di ritornare alla realtà: il pacifismo europeo era solo un’ideologia, un vuoto contenitore con cui abbiamo coltivato l’illusione di contare qualcosa di fronte al mondo, ai cui occhi non eravamo nient’altro che paesi sconfitti.  

domenica 21 dicembre 2025

Il risveglio dell’Europa

L’Europa si sta risvegliando dal torpore economicista degli ultimi cinque o sei decenni. Con il boom economico degli anni ‘60 si era imposto in Europa un paradigma culturale e antropologico per cui la massima aspirazione dell’uomo era avere un buon stipendio e godere di diritti sociali e civili.

I recenti eventi geopolitici e le sollecitazioni americane hanno fortemente messo in discussione tale paradigma e riaperto quello che sembrava essere un capitolo ormai chiuso della storia europea: il capitolo bellico.

L’uomo europeo si sveglia oggi disorientato perché si vede costretto a trovare qualcosa che aveva perso: un motivo per cui morire. Che poi è anche un motivo per cui vivere. L’Europa si accorge oggi che avere un buon stipendio e dei diritti non è evidentemente un buon motivo per morire (e nemmeno per vivere).

Finora le guerre (degli altri) ci è piaciuto raccontarle sempre con le lenti del nostro paradigma la cui narrazione suona più o meno così: “I capi delle nazioni sono ricchi cattivi che per avidità di denaro mandano milioni di persone a morire”. Resta poi da spiegare come sia possibile convincere milioni di persone ad andare a morire per del denaro che non vedranno mai. Questa narrazione ha come inevitabile corollario il disprezzo per la massa, per il popolo, per le persone, le quali si farebbero abbindolare dai leader delle nazioni che le mandano a morire. Tale disprezzo per il popolo rende poi contraddittorio il rapporto con la democrazia, che sul popolo si basa, e con la comunità politica di appartenenza, che del popolo è fatta. 

L’europeo ha fondamentalmente paura di se stesso e della propria avidità di denaro che, per un meccanismo che in psicologia si chiama proiezione, vede in ogni essere umano: è convinto che gli uomini di ogni era e di ogni latitudine condividano la propria visione antropologica e che siano quindi mossi solo dai soldi. Tra l’altro, per un contrappasso della Storia l’Europa attuale ha perso peso nel mondo anche sul piano economico; è l’unico continente a non essersi mai veramente ripreso dalla crisi economica che ha avuto origine negli USA nel 2008. Segno evidente che la vera crisi europea non è economica, ma coinvolge sfere molto più profonde dell’umano.

L’uomo europeo non ha un motivo per cui morire perché non sa più che cosa è sacro nella sua vita. Non riesce ad intercettare valori comunitari che non siano quelli economici. E non si tratta di cavalcare il furore bellico di quelli che fino a ieri erano impegnati nella transizione “green” e oggi, per paura di perdere posizioni di potere, vorrebbero gestire la transizione bellica con uno zelo che fa tenerezza ed inquieta allo stesso tempo. Chi fino a ieri è andato avanti con la retorica "l'Europa ci ha dato la pace" (per la cronaca, le basi Nato hanno garantito la pace in Europa) non è evidentemente credibile se oggi grida "all'armi, ce lo chiede l'Europa".

Si tratta di abbandonare quel disincanto, quella disillusione, quel pessimismo e quella disperazione di fondo, che sono i frutti marci di un’antropologia perversa per cui l’uomo non sarebbe nient’altro che un homo oeconomicus, un mercenario al soldo del potente di turno. Una visione antropologica che porta con sé disprezzo e diffidenza nei confronti del prossimo e di se stessi. 

Chi muore e chi vive solo per i soldi? 

Fortunatamente nessuno. E quindi nemmeno noi in Europa.

                                   Camera Picta di Andrea Mantegna.             
              Fonte: https://mantovaducale.beniculturali.it/it/camera-picta


 


sabato 20 dicembre 2025

L’altro, il disagio ed il sacro

L’uomo è caratterizzato da una incompletezza originaria, da una inadeguatezza, da un costante rumore di fondo. Da qualcosa che è in stretta relazione con ciò che nella teologia cristiana si chiama peccato originale. Il peccato originale non deve essere eccessivamente spiritualizzato perché ha ripercussioni esistenziali e psicologiche serie di cui tutti facciamo esperienza, ed una in particolare, il vissuto di non essere padroni della nostra interiorità. 

Quando l’uomo entra in se stesso non fa esperienza della pace, della quiete, ma di un costante disagio di fondo, di un rumore, di qualcosa che non gli appartiene a cui nel corso degli anni abbiamo dato vari nomi, alienazione, vuoto, scissione interiore, disagio della civiltà, ecc. 

Con l’avvento della modernità e, quindi, di una maggiore padronanza del mondo da parte dell’uomo abbiamo inizialmente pensato che cambiando le strutture sociali e politiche avremmo anche risolto questo disagio. 

Tuttavia, seppur i cambiamenti sociali e politici hanno prodotto maggiore benessere e maggiore libertà, il disagio dell’uomo non è stato del tutto spento, ma ha preso altre forme, più interiori e psicologiche. 

Oggi non ci poniamo più l’obiettivo di cambiare le strutture sociali ma quelle psicologiche. Cerchiamo di cambiare la nostra interiorità, i nostri pensieri, la nostra affettività, la nostra personalità. 

Ovviamente facciamo bene a farlo, così come abbiamo fatto bene a cambiare le strutture sociali e politiche nella direzione di una maggiore democrazia. Tuttavia, non dobbiamo pensare che in questo modo risolveremo definitivamente il problema dell’inadeguatezza che caratterizza la natura umana. 

Tale inadeguatezza ha bisogno di uno sfondo teologico per poter essere compresa a pieno. Non è semplicemente il frutto di strutture psicologiche disfunzionali o di strutture sociali inique. L’uomo anche se vivesse nella migliore società possibile, con le migliori opportunità, con le migliori esperienze relazionali ad affettive possibili continuerebbe a provare un’insoddisfazione di fondo. Continuerebbe a sentire una mancanza che non può essere colmata con ciò che è semplicemente terreno ed umano.

Tale incompletezza non è di per sé peccato, non è cioè motivo di vergogna. Adamo ed Eva provano vergogna della loro nudità solo dopo aver mangiato la mela; erano nudi anche prima di commettere il peccato originale, tuttavia non sentivano il bisogno di nascondersi. 

La conseguenza del peccato originale non è fare esperienza della mancanza, del vuoto, dell’incompletezza; ma è vergognarsi delle proprie mancanze, delle proprie nudità. 

Visto che siamo prossimi al Natale, possiamo affermare che tale mancanza, tale nudità, è la grotta interiore che è destinata ad accogliere Dio. È sacra e deve essere mantenuta inviolata per far spazio al Sacro. Non importa se è solo una grotta, se non è una reggia o un albergo di lusso; è quello il posto che Dio si è scelto per venire ad abitare nel nostro cuore. Se lo riempiamo, Dio verrà ma non troverà spazio. Ad essere sacro nel nostro cuore non sarà più Dio ma tutte le cose con cui abbiamo riempito quel vuoto interiore. 

Possiamo riempire quel vuoto anche con una pratica religiosa, con le nostre preghiere, con la liturgia. La pratica religiosa non deve colmare il vuoto interiore ma deve aiutarci a stare nella mancanza. Deve cioè preparare l’incontro con Dio e non prendere il posto di Dio. 

Quando nel nostro cuore qualcosa che non è Dio ha preso il posto di Dio, ciò porta con sé un primo effetto perverso evidente: superiorità e disprezzo verso quelli che non condividono le nostre pratiche, i nostri ideali, i nostri stili di vita, le nostre idee politiche, la nostra religione, ecc. Il disprezzo per l’altro, per il diverso è il segno principale che nel nostro cuore non abbiamo incontrato l’Altro, il Diverso per eccellenza che è Dio. Madre Teresa di Calcutta diceva che sentirsi meglio degli altri è l’inizio del male.

A ciò fa seguito un secondo effetto altrettanto perverso: il tentativo di uniformare, di omogeneizzare tutto ciò che all’esterno ci appare diverso: non dobbiamo parlare lingue diverse ma tutti la stessa lingua (quella del più forte); non dobbiamo avere idee diverse ma tutti la stessa idea (quella del più forte); non devono esserci culture diverse ma una sola (quella del più forte); non devono esserci paradigmi economici diversi ma uno solo (quello del più forte); non devono esserci religioni diverse ma una sola (quella del più forte); e così via. 

È insomma il costante tentativo dell’uomo di fare del mondo una Babele unica. 

Aver sacralizzato nel proprio cuore ciò che sacro non lo è affatto comporta una costante lotta con tutto ciò che dentro e fuori di noi porta la vera impronta del sacro: l’altro, il diverso.


giovedì 18 dicembre 2025

La felicità impossibile nella religione del Progresso

Dal Settecento, secolo dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese, si affaccia in Occidente l’idea, che diventerà sempre più dominante con il passare dei secoli, per cui tutte le aspirazioni dell’uomo - di felicità, di pace, di giustizia, di libertà, di benessere - si possano realizzare in questa vita e su questa terra, e senza l’intervento di Dio. 

Nasce così una nuova religione, quella del Progresso, che si caratterizza per: 1) l’immanenza assoluta; 2) il ripudio di Dio sostituito dall’Io.

Scompare dall’orizzonte dell’uomo qualsiasi prospettiva trascendentale: questa è l’unica vita; prima della nostra nascita c’era il nulla e dopo la nostra morte ci sarà di nuovo il nulla. Di conseguenza, tutte le aspirazioni di felicità dell’uomo devono essere compresse nel breve arco della nostra vita terrena. 

Ovviamente il problema di questa religione non è il desiderio di felicità dell’uomo, che è pienamente legittimo, ma è l’affrancamento di questo desiderio da qualsiasi prospettiva trascendentale e da qualsiasi rapporto con un Dio che sia Sommo Bene, che incarni quindi tutti i desideri di bene e di felicità dell’uomo.

L’idea che l’uomo possa essere felice avendo come prospettiva, come origine e come fine della sua vita non il Sommo Bene, ma il nulla è paradossale. 

Sarebbe come pretendere che i passeggeri di un treno destinato a cadere in un burrone siano felici durante il viaggio. Questa religione può al massimo offrire il godimento come distrazione rispetto alla triste fine a cui è destinato l’uomo. 

Godimento però non equivale a felicità. L’uomo non può essere felice senza la consapevolezza della propria vocazione, e non può sapere quale sia la propria vocazione senza un rapporto personale con il Dio che lo ha creato, pensato e chiamato. E non può essere in rapporto con Dio se non è disposto a rinunciare a tutto ciò che nella propria interiorità ha preso il posto di Dio.

Veniamo quindi al secondo elemento fondamentale che caratterizza questa religione: il ripudio di Dio.

In questa religione è l’Io ad essere sacro. Fino alla prima metà del Novecento quando era ancora predominante la dimensione sociale nella vita dell’uomo, era l’Io-capo dei grandi gruppi sociali ad essere investito di sacralità. I capi delle nazioni, i leader dei movimenti politici plasmavano non solo la vita politica, pubblica, sociale ma persino l’interiorità dell’uomo o, perlomeno, avevano questa pretesa.

Dopo che le aberrazioni del nazifascismo e del comunismo hanno reso manifesto che i grandi gruppi sociali e i loro leader non sono capaci di rispondere ai desideri di felicità dell’uomo, quest’ultimo si è ripiegato sul proprio Io. 

Al culto del leader si è sostituito il culto di se stesso. 

Nella prima fase di questa religione i sacerdoti erano gli studiosi della dimensione sociale dell’uomo come, politologi, sociologi, filosofi sociali; adesso, nella seconda fase di questa religione i sacerdoti sono i professionisti della dimensione individuale dell’uomo come, nutrizionisti, psicologi, medici (dermatologi e chirurghi estetici in modo particolare), personal trainer, mental coach, esperti di crescita personale, ecc.

Per evitare fraintendimenti ed estremizzazioni talebane, preciso che il problema non sono le discipline e le professioni appena citate ma il loro uso al servizio del sacro. Ciò che nell’interiorità dell’uomo prende il posto di Dio, dell’unico vero Dio, del Sommo Bene è destinato alla lunga a creare aberrazioni. 

Quando il prossimo giudizio della Storia renderà manifesto all’uomo che egli non può essere Dio né di se stesso né di un altro uomo, forse comprenderà che la salvezza che sta cercando non la troverà nel progresso (individuale, sociale, politico, tecnico-scientifico, religioso, ecc.), ma solo in una relazione personale con l’unico e vero Dio.



mercoledì 17 dicembre 2025

La fisica quantistica e le nuove religioni

L’uomo non può fare a meno della dimensione del “sacro”, perché tutti abbiamo un bisogno spirituale di fondo: desideriamo essere immortali o - che è la stessa cosa - desideriamo essere salvati dalla morte. Per morte non si intende solo quella biologica, ma anche e soprattutto quel vuoto interiore che cerchiamo di colmare o da cui cerchiamo di scappare. È “sacro” tutto ciò che facciamo per affrontare questa mancanza originaria. 

L’uomo moderno che professa ad ogni piè sospinto il proprio ateismo in realtà è pieno di religioni, le quali, dal momento che non sono riconosciute, sono rigide, dogmatiche ed inflessibili.

In realtà la religione che domina la nostra cultura è una sola, quella del progresso, tutte le altre sono sue declinazioni. Questa religione è alimentata da una filosofia di fondo, il materialismo, che si caratterizza per la negazione della dimensione trascendentale dell’uomo: tutte le aspirazioni dell’uomo, comprese quelle di salvezza e di immortalità, si realizzano nell’immanenza, cioè nel tempo che gli è dato da vivere su questa terra. 

Come è noto, il principale teorico di questa filosofia è stato Karl Marx (il quale è stato anche l’ultimo filosofo di spicco della cultura occidentale). L’Ottocento, il secolo di Marx, non era un secolo di individualismo spinto, come l’attuale, pertanto per Marx la salvezza si sarebbe realizzata sì nell’immanenza, ma nell’immanenza di una classe sociale - il proletariato - e non nell’immanenza di una singola vita - come invece riteniamo oggi -.

Marx lo definiva materialismo storico stabilendo forse inconsapevolmente la fine e della storia - intesa come prospettiva - e della filosofia. Riduceva la storia al livello deterministico della fisica newtoniana. La storia con Marx cessa di essere il campo in cui si esprime la libertà umana - nei limiti dei paletti geografici, politici, sociali, ecc. - e diventa una sorta di orbita gravitazionale i cui movimenti sono rigidamente stabiliti da leggi a cui l’uomo non può sottrarsi. E la filosofia non è più una bussola che aiuta l’uomo ad esercitare la sua libertà ma diventa una disciplina, simile alla fisica, che deve scoprire le leggi che regolano il comportamento, sociale e storico, dell’uomo. 

Se si estromettono la libertà dell’uomo e la sua trascendenza - cioè l’idea che gli effetti della libertà dell’uomo si realizzeranno pienamente solo nella prossima vita - sia la storia che la filosofia cessano di avere valore.

A che mi servono una prospettiva storica ed una bussola che mi aiuti ad orientarmi se i miei comportamenti sono già determinati da ineluttabili leggi sociali?

A nulla. 

Infatti Marx ha preparato la tomba sia alla storia che alla filosofia, che oggi sono state soppiantate dalle scienze fisiche e chimiche. Cioè, l’uomo moderno crede che le risposte a tutti i suoi quesiti - compresi quelli spirituali - vengono dalla “materia” e dalle discipline che la studiano come, la fisica, la biologia e la chimica. Queste discipline sono state investite di bisogni spirituali che non possono soddisfare.

È interessante notare come, ad esempio, nella fisica quantistica manchi la caratteristica tipica di una scienza: l’individuazione di nessi di causa-effetto e la loro riproducibilità in laboratorio. 

La libertà e la trascendenza che caratterizzano la dimensione spirituale dell’uomo sono state proiettate nella materia, quella subatomica, che agirebbe con una libertà tipica dell’uomo. La fisica quantistica si basa sul principio di indeterminazione di Heisenberg, per cui non è possibile conoscere con precisione la posizione e la velocità di una particella non per difetti di misurazione ma per caratteristiche intrinseche alla materia; principio che contraddice tutto il corpus di conoscenze della fisica classica e che fece dire ad Albert Einstein la famosa frase: “Dio non gioca a dadi con l’universo”. 

Oggi siamo di fronte a questo paradosso: mentre le scienze sociali cercano le leggi che regolerebbero il comportamento umano, la fisica ci dice che l’universo subatomico non soggiace alle leggi della fisica classica e agirebbe (quasi) liberamente. 

Quanta vera scienza c’è in tutto ciò e quanta invece è religione non riconosciuta?

venerdì 12 dicembre 2025

Disobbedire all’ansia

Cos’è l’ansia?

L’ansia è una paura intensa, eccessiva. Viene detta anche paura irrazionale in quanto, a differenza di una normale paura, l’ansia non funge da segnale nei confronti di un pericolo, ma è essa stessa il pericolo. 

I comportamenti suggeriti dalla paura sono adattivi perché comprendono una sana prudenza, un’adeguata vigilanza ed un’appropriata ricerca di protezione e sicurezza. Nulla di tutto ciò avviene con l’ansia: non siamo prudenti ma frettolosi; l’attenzione si restringe e si ripiega sull’ansia stessa quindi la vigilanza non è più adeguata; i comportamenti protettivi sono inappropriati per età e capacità del soggetto. 

I comportamenti protettivi suggeriti dall’ansia li possiamo riconoscere perché non sono comportamenti tipici di un adulto, ma di un bambino, come, ad esempio, chiedere continue rassicurazioni (in assenza di un vero e reale pericolo), evitare luoghi o situazioni ansiogene, oppure farsi accompagnare in attività che un adulto dovrebbe fare da solo. 

Naturalmente ciò che è appropriato per un bambino, è inappropriato per un adulto. 

Quando agiamo sulla base di quanto suggerito dall’ansia ci comportiamo come una persona che, trovandosi nelle sabbie mobili, si dimena per uscirne e così facendo sprofonda di più.

Bisogna pertanto fare il contrario di ciò che suggerisce l’ansia. Ma, prima, ancora è necessario riconoscerla. Non sempre ci riusciamo da soli, è opportuno confrontarsi con persone di fiducia e chiedere loro se le nostre preoccupazioni ai loro occhi appaiono normali o eccessive. Se le persone attorno a noi ci fanno notare che le nostre paure sono eccessive, è molto probabile che soffriamo d’ansia. 

Dobbiamo allora essere onesti con noi stessi e passare al vaglio tutte le nostre paure perché l’ansia può annidarsi ovunque ed ogni paura ci apparirà legittima. Dobbiamo chiederci tutte le volte che siamo preoccupati per qualcosa se persone di nostra fiducia nella stessa situazione si preoccuperebbero come noi. Se la risposta è no, è probabile che ciò che stiamo provando è ansia, e non una normale preoccupazione.

E, di conseguenza, non dobbiamo agire secondo quanto ci suggerisce la nostra emotività. Quando siamo ansiosi dobbiamo prendere meno decisioni possibili, perché è molto probabile che le decisioni suggerite dall’ansia siano sbagliate e avranno come conseguenza quella di farci sprofondare nelle sue sabbie mobili. 

C’è solo un antidoto all’ansia: disobbedirle e tollerarla. Solo così alla lunga mollerà la presa su di noi. Al contrario, se le obbediamo pretenderà sempre più spazio ed eserciterà su di noi un potere autoritario e dittatoriale.


Se la sofferenza è tale da non lasciarci molti margini di tolleranza e di “disobbedienza”, allora è necessario chiedere l’aiuto di un professionista della salute mentale. 

Avendo chiaro però che non dobbiamo cercare qualcuno che si incateni insieme con noi; ma qualcuno che ci aiuti a rompere le catene e tutti i patti di non belligeranza che abbiamo fatto con l’ansia.




L’uomo e lo scimpanzé hanno un'origine comune?

L'uomo e lo scimpanzé hanno un'origine comune?


La risposta è sì e no.

Sì, perché ci sono delle prove a favore di un’origine biologica comune di tutti gli animali e, in modo particolare, tra l’uomo e gli scimpanzé. Delle prove, non una vera evidenza scientifica - spiegherò tra poco il concetto di evidenza scientifica -. 

No, se intendiamo che la causa dell'origine dell'uomo risiederebbe nell'antenato comune all'uomo e allo scimpanzé.

Lo stesso discorso vale per l'origine dell'universo. Abbiamo degli indizi (non delle evidenze scientifiche) che fanno pensare che l'universo abbia avuto origine dal nulla o dal vuoto originario. Ben diverso però è affermare che il nulla sia la causa che ha dato origine all'universo. Sarebbe come dire che, siccome un dipinto ha avuto origine da una tela vuota, allora la tela vuota è la causa del dipinto. Questo errore logico oggi diffusissimo viene fatto passare per verità scientifica perché non si riconosce che l'ateismo che lo sostiene è un atto di fede. Ed essendo un atto di fede non riconosciuto, è marcatamente dogmatico, cioè non viene scalfito da ragionamenti logici o da evidenze.   

L'obiettivo di questo post non è convincere gli atei dell'esistenza di Dio. Ognuno è libero di credere a ciò che vuole, ma non di far passare la propria fede per scienza. Questo ovviamente vale anche per chi crede in Dio. Quindi la contrapposizione tra evoluzionisti e creazionisti è mal posta. Qui non si tratta di fare un braccio di ferro tra due fedi contrapposte, si tratta di capire che cosa è veramente scientifico e cosa non lo è. Indipendentemente da quale sia la fede a cui uno sceglie di aderire.

Quindi se la domanda è: da cosa deriva l'uomo, ovvero, qual è la causa che ha dato origine all'uomo (tutto l'uomo, non solo l'homo biologicus)? Questa domanda è filosofica, non scientifica, perché è filosofico tutto ciò che riguarda la totalità - l'uomo, in questo caso -; è scientifico invece ciò che riguarda le realtà particolari - la biologia dell'uomo, in questo caso -. 

L'uomo e lo scimpanzé condividono quasi il 99% del materiale genetico. Che cosa c'è di così magico nel restante 1% di DNA che giustificherebbe l’enorme differenza che, sul piano psicologico, cognitivo, sociale, si riscontra tra un uomo ed uno scimpanzé? Non lo sapremo mai, perché compito della biologia è rispondere (solo) ai quesiti biologici; e l'uomo non è fatto solo di biologia. Sarà quindi compito della psicologia rispondere (solo) ai quesiti psicologici; compito della sociologia rispondere (solo) ai quesiti sociologici; è così via per tutte le scienze.

È compito della filosofia invece rispondere ai quesiti che riguardano l'uomo come realtà generale. La realtà generale non è una semplice somma delle realtà particolari. È un altro livello. È un errore - oggi molto diffuso - credere che il progresso delle scienze (fisiche) possa sostituire la filosofia. L’idea che nella materia risiedano le risposte a tutti i nostri quesiti è frutto della filosofia oggi dominante: il materialismo. Che fa da spalla all’ateismo, la religione oggi dominante. Tuttavia, siccome il materialismo non si presenta mai esplicitamente come filosofia ma si nasconde sotto mentite verità scientifiche, non è possibile metterlo in discussione. È un dogma culturale dell’uomo occidentale.

Le scienze rispondono sempre solo a quesiti che riguardano le realtà particolari, ed ognuna risponde solo per la propria realtà particolare. Per le realtà generali il metodo di indagine è un altro, è quello filosofico.

Lo stesso discorso vale per l'origine dell'universo. Se per universo si intende la materia, è compito della fisica indagarlo. Se per universo si intende l'universo tutto, come realtà generale, è compito della filosofia indagarlo. I progressi della fisica non rendono affatto superflua l'indagine filosofica.

Arriviamo quindi al concetto di evidenza scientifica. 

L'evidenza scientifica non è semplicemente raccogliere delle prove. Altrimenti ogni investigatore sarebbe anche uno scienziato. Le prove da sole non provano nulla, perché hanno bisogno di essere interpretate, e nell'interpretazione che noi diamo agli aventi subentrano sempre la filosofia che adottiamo e gli atti di fede che compiamo. 

La scienza ha dei metodi rigorosi; l’evidenza scientifica non è semplicemente raccogliere delle prove e interpretarle. All’evidenza scientifica si giunge dopo aver individuato nessi di causa ed effetto tra due fenomeni attraverso studi sperimentali controllati. Infatti, non viene autorizzata l'immissione in commercio di un farmaco solamente perché sono state trovate delle prove che facciano pensare che quel farmaco sia efficace. L'efficacia di quel farmaco deve essere dimostrata in studi controllati che evidenziano che l'avvenuta guarigione è (ragionevolmente) attribuibile all’esclusiva azione del farmaco. E questi studi devono essere riproducibili da sperimentatori diversi, per arginare il più possibile le variabili soggettive, cioè attribuibili all'azione dello sperimentatore e non all'azione del farmaco. 

Così funziona la scienza. Quindi se fosse evidenza scientifica che la causa dell'origine dell'uomo risieda in un antenato biologicamente comune all'uomo e allo scimpanzé, dovrebbe essere possibile in laboratorio dar vita a cellule embrionali umane a partire da cellule appartenenti allo scimpanzé, e viceversa. Ciò evidentemente non accade. Lo stesso discorso vale per l'origine dell'universo. Se la causa che ha dato origine all'universo risiede nel nulla o nel vuoto originario, dovrebbe essere possibile riprodurre in laboratorio dal nulla quantomeno la materia. Nemmeno questo ad oggi è possibile. 

Quindi possiamo solo dire che abbiamo prove che fanno pensare ad un'origine biologica comune tra l'uomo e lo scimpanzé e che l'universo abbia avuto origine da un vuoto originario. 

Prove, non evidenza scientifica. 

Se vogliamo invece indagare le cause che hanno dato origine all'uomo e all'universo come realtà generali dobbiamo studiare la filosofia. Aristotele (e, in modo particolare, le sue quattro cause) può essere un buon punto di partenza.  


martedì 9 dicembre 2025

Fraintendimenti sui papi

Prima di parlare dei papi bisogna partire da un presupposto (di fede): è sempre per volontà di Dio che un nuovo papa assume l’ufficio di Pietro alla guida della Chiesa e dei cristiani. Pertanto quando siamo di fronte ad un nuovo papa, come nel periodo attuale, la domanda da porsi è: che cosa Dio vuole fare attraverso il Papa in carica? e non: che cosa il Papa vuole fare delle cose di Dio? 


La Chiesa non è istituzione politica dove al cambiare del leader cambia l’indirizzo politico. Il capo non è il papa ma Cristo e Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre! (Eb 13,8). Ovviamente questo non significa che Cristo sia un monolite che non tiene conto dei cambiamenti storici, sociali e politici. Tuttavia, la Chiesa non ha indirizzi politici da cambiare perché non è un’istituzione politica. La Chiesa è un’istituzione di salvezza spirituale (e, pertanto, dell’intero uomo). Il papa è un semplice amministratore delegato della salvezza, se vogliamo usare metafore aziendali. Se Cristo decide di cambiare l’amministratore delegato della sua azienda, sia che questo cambio avvenga tra due papi ancora vivi, sia che avvenga attraverso la successione di un nuovo papa che prende il posto del precedente deceduto, è perché Cristo stesso lo ritiene opportuno in vista della salvezza degli uomini. 

La Chiesa Cattolica esiste solo ed esclusivamente in virtù di questa salvezza. Ne consegue che chi non ritiene di aver bisogno di salvezza e non crede che Cristo sia il Salvatore, non ha motivo di rivolgersi alla Chiesa Cattolica.  

Oggi fortunatamente viviamo in una società laica, nella quale atei e cristiani hanno gli stessi diritti civili, anzi, gli atei ne hanno di più perché la cultura dominante è atea e incoraggia l’ateismo. Quindi chi non è cristiano può vivere tranquillamente la propria vita; è però abbastanza caricaturale che chi non è cristiano pretende la riforma di un’istituzione nella quale non crede. Sarebbe più sincero dire: per me la Chiesa Cattolica non dovrebbe esistere, piuttosto che fingere di credere a Cristo e poi pretendere che Cristo riformi se stesso. 

Questa situazione caricaturale l’abbiamo vista spesso durante il pontificato di Francesco: qualcuno si era illuso che Papa Francesco potesse essere il Che Guevara del cattolicesimo. 

Papa Francesco è stata la mano tesa di Dio ai lontani, ai lontanissimi, i quali avrebbero potuto avere molta soggezione ad avvicinarsi alla Chiesa di un teologo fine ed austero come Benedetto XVI. Ecco quindi che Dio offre un Papa che parla il linguaggio della gente, che sta in mezzo alla gente. E perché lo fa? Per fare proselitismo? Per aumentare il numero dei cristiani? No. Per salvare gli uomini. Attenzione però a non perdere di vista un aspetto importante: è l’uomo che ha bisogno di convertirsi a Dio e non Dio all’uomo. È la coscienza dell’uomo ad essere macchiata dal peccato, non quella di Dio. 

Dio si è fatto prossimo degli uomini attraverso Papa Francesco non perché tutto rimanesse così com’era o perché la Chiesa si riformasse sulla base delle moderne istituzioni sociali e politiche (molte delle quali sono espressione dei peccati degli uomini), ma affinché l’uomo prendesse consapevolezza che aveva bisogno di cambiare rotta. 

Ancora una volta, quindi, chi ritiene che la propria coscienza sia a posto così com’è non sentirà il bisogno di Cristo. Chi ritiene di essere sano non ricorre al medico. Allo stesso modo, chi ritiene che il peccato sia un’invenzione della Chiesa Cattolica per tenere soggiogati gli uomini e non una realtà drammatica che riguarda l’interiorità dell’uomo e che priva quest’ultimo della felicità, della comunione d’amore con Dio, con gli uomini e con tutto il creato, non capirà il valore della Chiesa Cattolica e nemmeno l’azione dei papi.


domenica 7 dicembre 2025

Desiderio versus sicurezza

Sicurezza e desiderio sono agli antipodi. È per questo motivo che nel periodo dell’adolescenza in cui il desiderio è massimo è anche minima la sicurezza: impulsività, propensione al rischio, ricerca della novità e di sensazioni nuove sono tipiche dell’adolescenza. Il desiderio ha bisogno per emergere di incrinare i bastioni delle sicurezze che lo circondano; deve entrare in aperto contrasto in modo particolare con l’autorità, che è garante della sicurezza e della stabilità. Non c’è nulla che faccia più orrore all’adolescente della prospettiva di una vita stabile, routinaria e prevedibile. Di contro, non c’è nulla che faccia più orrore all’autorità costituita del cambiamento, del rinnovamento e della propensione al rischio. 

Tutte le nostre strutture sociali e politiche - riflesso di una società vecchia - sono dei bastioni contro il desiderio, il rinnovamento ed il cambiamento. Tutti i tentativi di rinnovamento della nostra società falliranno se non si inverte il trend demografico: ci vogliono i giovani, quelli veri, e non i vecchi che fingono di essere giovani. Sono loro - i giovani - i portatori della fiaccola del desiderio in una società. I vecchi vogliono, al contrario, sicurezze, stabilità, certezze; vogliono una tranquilla e comoda pensione. 

Non è mia intenzione coltivare un conflitto generazionale. I vecchi di oggi erano i giovani di ieri, hanno lavorato e si sono sacrificati e ora giustamente desiderano essere lasciati in pace a godersi i frutti del loro lavoro. Il problema non è l’anziano in quanto tale, il problema è che gli anziani sono troppi rispetto ai giovani; c’è una sproporzione eccessiva che determina non solo un innalzamento dell’età media, ma un generale invecchiamento culturale, psicologico, antropologico di tutta la società. Quei pochi giovani che abbiamo, a forza di essere circondati da anziani, hanno incominciato ad assimilarne i vizi: non desiderano più niente da questo paese, sono pessimisti, si oppongono ai cambiamenti culturali, hanno paura della libertà e dell’autonomia. 

Le speranze di cambiamento al momento sono riposte nella generazione di mezzo, quella che avendo vissuto due epoche diverse - l’epoca attuale e quella pre-internet -, sa che i cambiamenti sono possibili e, tuttavia, non è così vecchia da non averne più bisogno, da non desiderarli più. Ad onor del vero, questa generazione è anche quella maggiormente responsabile del calo demografico del nostro paese. Probabilmente è quella più propensa al cambiamento anche per via di un sano senso di colpa: deve ancora qualcosa a questo paese, non avendo generato figli. 

Non intendo dire che non abbiamo più nulla da sperare dai giovani. Sarebbe una visione eccessivamente pessimistica, tipica tra l’altro degli anziani. Ma dobbiamo rompere l’abbraccio mortale tra gli anziani ed i giovani, per liberare il desiderio di questi ultimi dall’immobilismo dei primi. 

Non intendo nemmeno dire che non abbiamo più nulla da sperare dagli anziani. Ci aiutano a vedere il mondo da una prospettiva storica, senza la quale rimaniamo degli eterni adolescenti, degli eterni Peter Pan.

Bisogna semplicemente avere chiaro che cosa si può pretendere da una generazione. Nonostante viviamo in un’epoca che separa eccessivamente la biologia dalla cultura, la biologia esercita la sua influenza sulla psicologia e sull’antropologia. Non si può chiedere ad un anziano di fare la rivoluzione, non ne ha le energie. Le guerre e le rivoluzioni da sempre le fanno i giovani, perché hanno il fuoco dentro. Si può chiedere però agli anziani di governare questo fuoco affinché non diventi eccessivamente distruttivo. 

Però oggi manca il fuoco. Che non lo portano gli anziani, ma i giovani. 

C’è una cultura da rivoluzionare, da svecchiare da tutte quelle incrostazioni ideologiche che sono retaggio di un passato che ormai non esiste più. Anche le idee invecchiano, e hanno bisogno di un ricambio generazionale. Le cornici interpretative che aiutavano a comprendere il mondo cento anni fa oggi non sono più adeguate. Ci vogliono idee nuove. Siamo ossessionati dalla produzione economica, ma c’è un’altra produzione, quella culturale, che è ferma da almeno settant’anni. È almeno dalla metà del secolo scorso che in Europa non si fa più vera cultura. Il boom economico ha spento progressivamente il fervore culturale, che ha sempre animato l’Europa. 

Siamo tutti nostalgici del boom economico, che ha portato benessere, ricchezza, diritti, pensioni, sanità, ecc. Tuttavia, se mettiamo gli eventi in una prospettiva storica, dobbiamo riconoscere che l’esplosione di ricchezza che ha caratterizzato l’Europa nella seconda metà del novecento è l’eccezione e non la norma nella storia europea. 

La principale caratteristica del continente europeo è il fervore culturale, è il fuoco del desiderio, non la pennichella di chi ha la pancia piena. Certo, questo fuoco non è stato sempre gestito nel migliore dei modi; la nostra storia è stata travagliata, caratterizzata da conflitti sanguinosi e guerre vergognose. Ma la soluzione non è anestetizzare il fuoco con le ricchezze; non abbiamo solo una pancia da riempire, ma anche una testa: e, si sa, si ragiona meglio quando lo stomaco non è troppo pieno. 

È Giovanna d’Arco ad incarnare il carattere dell’Europa, non il presidente della banca centrale.

[Giovanna all'assedio di Orléans, quadro di Jules Eugène Lenepveu (1886-1890), esposto al Panthéon de Paris.]


sabato 6 dicembre 2025

Il tempo del desiderio

Il tempo che precede l’arrivo del Natale è il tempo del desiderio e dell’attesa fiduciosa. È un periodo avvolto di mistero e di magia in cui si attende qualcosa di bello: un figlio, un matrimonio, un nuovo lavoro, una salute migliore, un fidanzato o una fidanzata, una nuova casa, una nuova vocazione, una vita nuova, ecc.

Siamo autorizzati a desiderare e a chiedere, come fanno i bambini che mettono per iscritto i loro desideri nella classica letterina che, per il tramite dei genitori, inviano a Babbo Natale. 

Questo è il tempo del futuro per antonomasia; tutti protesi verso ciò che verrà e sarà, lasciamo alle spalle l’anno appena trascorso con le sue gioie e i suoi dolori, con i desideri soddisfatti e quelli insoddisfatti.

Ecco. Per vivere al meglio questo periodo - che è il periodo del futuro - bisogna lasciare alle spalle il passato. I bambini non hanno problemi a dimenticare l’anno appena trascorso e a rituffarsi nell’atmosfera del Natale con i loro desideri e con le loro richieste spontanee, genuine ed eccessive, delle quali tuttavia non si preoccupano, sarà compito dei genitori far collimare i desideri dei figli con la realtà. I bambini chiedono, disturbano gli adulti, non guardano la letterina dell’anno precedente per verificare se le loro richieste sono state soddisfatte e, di conseguenza, per rivedere al ribasso i desideri del nuovo anno. No. Non fanno così. Anzi. Se non hanno ricevuto qualcosa insistono, chiedono di nuovo; nessuno può togliere ad un bambino la magia del Natale, del desiderio, dell’attesa. Non importa se la sua famiglia è ricca o è povera, se ha ricevuto o non ha ricevuto ciò che ha chiesto l’anno precedente, nessuna circostanza può togliere ad un bambino la magia del desiderio: l’attesa, la fede e la speranza di un nuovo inizio. 

Noi invece crescendo perdiamo il desiderio. Abbiamo tutti fatto esperienza di esserci scottati per via di aspettative troppo alte nei confronti della vita, di conseguenza, per evitare di soffrire nuovamente, abbiamo iniziato ad abbassare progressivamente le richieste fino a spegnere del tutto la dimensione del desidero. Ma senza un desidero non siamo spontanei e genuini come i bambini; siamo artificiali, siamo automi. 

Hai paura di essere sostituito dall’intelligenza artificiale? Be’, ritrova il desiderio. In generale, hai paura? Ritrova i tuoi desideri. La paura riempie il futuro con i presagi di cattive notizie. Il desiderio è l’antidoto perché squarcia il cielo annuvolato di paure con la luce di un futuro gioioso. "Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia", sentono risuonare nei loro cuori alcuni pastori in una fredda notte di Betlemme mentre fanno la veglia al loro gregge, e a questo annuncio si mettono prontamente in cammino; non restano fermi a fissare la loro vita poco agiata, non temono di perdere il loro gregge, tutto ciò da cui dipende il loro sostentamento, non restano attaccati alle loro certezze. In quella stessa notte da Oriente, alcuni Re si metteranno in cammino nella stessa direzione dei pastori perché "al vedere la stella" hanno provato una grande gioia. Anche nel loro caso la gioia che provano di fronte al desiderio li muove verso un incerto cammino di notte.

Sono i nostri desideri pertanto che ci mettono in cammino, non lo status socio-economico da cui proveniamo. E nemmeno le nostre paure, le quali ci mettono in fuga non in cammino. Noi abbiamo bisogno di andare verso una meta e non solo fuggire dai pericoli.

Questo è il tempo della gioia, vivilo; questo è il tempo dell’attesa, rallenta; questo è il tempo del futuro, guardalo. Bandisci la tristezza da questi giorni di attesa del Natale; riduci l’attivismo che non ti fa godere l’attesa; distogli lo sguardo dal presente, e soprattutto dal passato, e guarda al futuro, non con gli occhi delle tue paure ma con quello dei tuoi desideri. 

Scrivili - i tuoi desideri - in una lettera, come fanno i bambini. Sii spontaneo, genuino ed eccessivo esattamente come i bambini. Oggi tra l'altro è San Nicola, il Santo che ha ispirato con la sua storia la figura di Babbo Natale: ci sarà anche per te un vecchio buon uomo che ascolterà ciò che porti nel cuore.

Cosa desideri: dal tuo lavoro; dal tuo matrimonio, da tua moglie o da tua marito; dalla tua salute, dal tuo corpo; dallo studio; dai tuoi figli; dai tuoi genitori; dai tuoi colleghi; dai tuoi amici; da Dio?

Scrivi, chiedi, disturba e poi…spedisci la lettera. Liberatene! Non possedere i tuoi desideri. Il motivo per cui non riesci più a chiedere è perché sei rimasto attaccato ai desideri degli anni precedenti. Non hai spedito la lettera. 

Non fare il Don Giovanni dei tuoi desideri. Don Giovanni non riusciva ad apprezzare e ad ammirare la bellezza delle donne senza cedere alla tentazione di possederle. Posseduta una donna, ne perdeva l’interesse; ne cercava un’altra dalla cui bellezza farsi abbagliare e, dopo aver posseduto anch’ella, ne perdeva nuovamente l’interesse. E così il ciclo si ripeteva all’infinito. Il problema evidentemente non erano le donne né la loro bellezza, ma la volontà di possesso di Don Giovanni. 

Così è per i tuoi desideri: sono magici, belli e misteriosi se rinunci a possederli. Se li possiedi diventano cadaveri. Butta via i cadaveri degli anni passati. Anche in questo caso scrivi su un foglio i cadaveri - i desideri insoddisfatti dell’anno appena trascorso e poi brucialo. Separa i vecchi desideri dai nuovi.

E i nuovi guardali e ammirali come ammireresti una bella donna, come ammiri le stelle di una serena e felice notte d’estate. 

Saranno le stelle polari che ti guideranno nel nuovo anno. Ricordati però che le stelle sono belle e fungono da guida per orientarti nel cammino della vita solo se le guardi ad una certa distanza, se ti avvicini troppo il loro calore ti brucerà.

E ricordati anche che le stelle si vedono al buio, quindi convivi con le tue paure e usale come sfondo per rendere più visibili i tuoi desideri. Se scompare il buio, scompaiono anche le stelle. Se vuoi metterti in cammino di giorno perché ti senti più sicuro o più sicura, avrai le tue certezze ma non saprai dove andare perché non vedrai più le stelle. Cammina di notte: avrai il buio e le stelle, ma tu tieni lo sguardo fisso sulle stelle. 

Buon cammino verso la tua meta…



 


venerdì 5 dicembre 2025

La religione della salvezza

L’uomo non ha solo bisogni fisici e psicologici ma ha anche bisogni di natura spirituale. Sul piano spirituale necessita di fare esperienza della salvezza: ha bisogno di essere salvato. 

Da cosa? Dalla morte.

Qui tutti pensiamo subito alla morte biologica. La morte fisica è l’ultimo dei problemi dell’uomo, perché nessuna religione, nessun Dio salverà l'uomo dalla morte fisica, nel senso di evitargliela. Tutti moriremo prima o poi, anche se fingiamo di essere immortali. 

L’uomo ha prima di tutto bisogno che qualcuno gli decodifichi la morte, gli fornisca le chiavi dell’ignoto per eccellenza. Perché senza queste chiavi non può entrare nemmeno in se stesso; rimane estraneo a se stesso, perché - come si è detto nel post precedente - l’interiorità è sempre un’esperienza di morte, è una discesa negli inferi. La morte quindi non è solo fisica, ma anche psicologica e spirituale: la portiamo dentro di noi e per vincerla bisogna guardarla in faccia e attraversarla, non fuggirla. La stessa crescita psicologica, secondo lo psicoanalista Paul Racamier, è una continua elaborazione di lutti. 

La scienza - quella medica in particolare - ha fatto molti progressi, ci permette di guarire da molte malattie e di posporre l’esperienza della morte. Posporre l’appuntamento con la morte non equivale però a vincere la morte. Ben venga il progresso scientifico, tuttavia, se si fa del progresso una religione passeremo tutta la vita in fuga dalla morte e, appunto, da noi stessi. 

Chi ci aiuta ad attraversare la morte quando l’appuntamento con essa non può essere più posposto? Dio soltanto. Solo Lui ne possiede le chiavi. Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi (Ap 1,17-18).

Arriviamo quindi allo snodo più importante. In che modo Dio ci salva dalla morte? Morendo insieme con la creatura, non evitando alla creatura l’esperienza della morte. Molti rifiutano Dio perché vorrebbero che egli eliminasse la morte e la sofferenza. Se c’è la morte allora essa è la prova che Dio non esiste, sostengono. Vorrebbero che Dio coincidesse con la scienza e che allontanasse la morte come fa la medicina. E, siccome la scienza è un prodotto dell’intelletto umano, vorrebbero quindi che Dio fosse un prodotto dell’uomo. Vogliono cioè salvarsi da soli.

Se vi trovate nelle sabbie mobili, riuscite ad uscirne da soli tirando con la mano destra la vostra mano sinistra? Ecco: questo è il dramma dell'uomo moderno. Ha disperatamente bisogno di salvezza ma, con un'ostinazione pari alla sua disperazione, la rifiuta.


Dio è il totalmente Altro. Se fosse un prodotto del mio intelletto sarebbe il totalmente mio. E siccome la morte - nelle sue varie declinazioni, non solo quella fisica - è un limite al nostro desiderio, al nostro godimento, essa è di conseguenza altro da noi stessi; bisogna quindi accettare l’altro per incontrare l’Altro. Non che Dio coincida con la morte, ma Dio si serve della morte per ricordare all'uomo che è una creatura; per risvegliarlo a se stesso, per ricordargli soprattutto che ha bisogno di Dio, che ha bisogno di essere salvato. 

Arriviamo quindi all’esperienza della Croce. 

Se la fede cristiana fosse semplicemente credere all’autorità di qualcuno senza fare la fatica di usare il proprio intelletto, tutto il mondo sarebbe cristiano. Perché una fede così non costa nulla (e non vale nemmeno nulla). La fede cristiana invece è faticosa perché bisogna accettare di farsi scandalizzare da Dio con l’esperienza della Croce: questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge (Mt 26,31). Chi non accetta questo scandalo non è cristiano, anche se va a messa tutte le domeniche e riempie i locali di crocifissi: chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 10,38-39). Il cristiano va a messa e partecipa ai sacramenti proprio per ricevere la forza e il coraggio di morire con Cristo. E risorgere con lui. La messa ha solo questa finalità: permettere al fedele di partecipare alla passione di Cristo e diventare un alter Christus. Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura (Gal 6,14-18).

È la Croce che separa le pecore dalle capre. Le prime accettano di morire insieme al loro Pastore e fanno l’esperienza di un Dio che ama a tal punto la creatura da morire con lei. Le seconde recalcitrano, non accettano di essere creature e di avere una finitudine; ovviamente moriranno lo stesso ma, non avendo fatto l’esperienza dell’amore di Dio - perché hanno rifiutato la Croce - moriranno da disperate. Come Giuda. Questo è il più grande e più serio pericolo dell’uomo: morire da disperato. Non è la morte in sé il problema. Ma è la morte senza il Salvatore ad essere terribile.

La Croce è giudizio e salvezza. Solo chi accoglie il giudizio di Dio, lo incontrerà anche come Salvatore. Chi non accetta il giudizio di Dio si condanna ad un giudizio eterno. Di questo oggi si parla poco anche tra i cristiani. Il tema del giudizio di Dio è tabù perché si coniuga poco con il sentimentalismo oggi imperante. La misericordia di Dio è diventata sinonimo di buonismo, ci siamo per l'ennesima volta costruiti un dio a nostra immagine e somiglianza. È come se nel quadro di Michelangelo che raffigura il Giudizio Universale avessimo coperto con un telo la parte inferiore che ritrae le anime dei dannati. Culliamo l'idea che alla fine Dio condonerà tutto e tutti, che finirà a tarallucci e vino.

Non è così. 

La Croce è sia parola di salvezza che parola di giudizio. Non è solo parola di salvezza. È ammonimento e consolazione. Se fosse solo consolazione Dio diverrebbe complice dell'uomo. Il giudizio è necessario perché serve all'uomo a cambiare rotta, fin quando è ancora in tempo. La Croce invita l'uomo a rinunciare a tutto ciò a cui si è attaccato e che gli fa da impedimento ad un vero incontro con Dio e con i fratelli. È una parola che ti disarciona da cavallo e poi ti rimette in piedi invitandoti però a cambiare direzione. Invitandoti. Non obbligandoti. L'uomo è libero di dire: "Eccomi", oppure: "Rifiuto l'offerta e vado avanti" (cioè indietro).

Siccome Dio è Amore, ricompensa già sulla terra la creatura chi gli rimane fedele nella Croce, la ricompensa dandole una vocazione, offrendole la propria amicizia. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli (Mt 16,18-19). Dio non trattiene nulla per sé, si offre totalmente alla creatura che lo accoglie, le fa provare un assaggio di quella gioia, di quella visione beatifica, di quella comunione in cui sono eternamente immerse le anime beate. 

E quale esperienza più densa di senso, di significato può fare l’uomo che incontra Dio, il quale lo chiama per nome, gli dà una vocazione e gli offre la propria amicizia? Al confronto tutte le vanità del mondo appariranno spazzatura. 

Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch'io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù (Fil 3,7-14).



L’Europa ed il trauma non risolto

L’Europa è bloccata internamente da un trauma non risolto il quale, come tutti i traumi, presenta delle manifestazioni tipiche: negazione (d...