In alcuni precedenti post (qui e qui) ho denunciato la responsabilità dei cristiani nell'aver rinunciato a fare cultura in Occidente e nell'essersi trincerati dietro una sterile difesa della dottrina - parlo dell'Italia, nelle altre principali nazioni europee non c'è più nemmeno una difesa della dottrina cristiana, quindi di fatto non esiste più nemmeno il cristianesimo - e dietro presunte attività profetiche (vedasi Medjugorje).
In questo post proverò quindi a parlare di cultura e di chi attualmente detiene il potere e la capacità di farla.
Generalmente per cultura si intende l'insieme di conoscenze e credenze che informano i costumi di una società; la cultura informa anche l'ordinamento legislativo, perché è la cultura che fornisce al potere legislativo i contenuti riguardanti quali comportamenti approvare e quali invece sanzionare.
Particolarmente interessante è la definizione che Gramsci dà della cultura: "È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri".
Gramsci attribuisce alla cultura non solo il compito di dare forma ai comportamenti esteriori che caratterizzano la convivenza sociale dell'uomo, ma una funzione più profonda di formazione della propria personalità e del proprio io interiore. Il collegamento tra cultura e personalità è corretto, noi psicologi infatti sappiamo che i problemi psicologici sono nel piccolo la manifestazione di più ampi problemi culturali. Qui però terminano le convergenze con Gramsci che, come è noto, aderì al marxismo, il quale nega qualsiasi interiorità all’uomo, la cui dimensione storica si esaurirebbe tutta nelle strutture economiche del proprio tempo. Si è detto nel post precedente che per ognuno di noi il mondo cambia se cambiamo noi stessi, ognuno deve fare lo sforzo di cambiare il mondo cambiandolo dentro di sé, cioè prendendo consapevolezza che dentro di sé nel piccolo sono racchiusi i grandi problemi del tempo storico che gli è dato da vivere. Senza questa presa di consapevolezza si rimane psicologicamente degli adolescenti, indipendentemente da quale età anagrafica si abbia. Il materialismo storico di Marx nega all’uomo ciò che più lo rende umano: la sua interiorità, ovvero la sua duplice dimensione spirituale e psicologica; e questa duplice dimensione interiore dell'uomo è sia ontologica che storica. Per i marxisti invece la dimensione ontologica e storica dell’uomo sarebbe un semplice riflesso delle strutture sociali (economiche, in particolare) nelle quali è inserito. Nelle classi sociali risiede la vera essenza dell’uomo, secondo il marxismo; e non in tutte le classi sociali, ma in una sola, il proletariato. Questa è una concezione dell’uomo intrinsecamente razzista, violenta e discriminatoria, perché se tra tutti gli uomini solo alcuni sono portatori di una verità storica ed ontologica, allora a questi è concesso fare qualsiasi cosa in virtù proprio della verità di cui sarebbero portatori. Al contrario, ogni essere umano nella sua interiorità è portatore di una verità storica ed ontologica, indipendentemente dal reddito o da altre differenze di carattere sociale. Chi crede che la filosofia non sia una cosa seria, dovrebbe collegare la diffusione del marxismo come filosofia dominante con l’esplosione di violenza che ha caratterizzato la storia europea del Novecento. E purtroppo il marxismo non ha ancora esaurito la sua onda lunga. Con la definitiva sconfitta delle potenze europee al termine della seconda guerra mondiale gli americani hanno esportato in Europa il loro modello di democrazia ma hanno importato da quest'ultima la sua filosofia dominante, quella marxista appunto, adattandola al loro contesto, che vede fratture sociali non lungo le linee economiche, come in Europa (almeno fino alla fine del Novecento), ma lungo le linee etniche e sessuali. Lì non sono le differenze di reddito a determinare quali sono le classi sociali investite di una verità storica da imporre - con le buone o con le cattive - al mondo, ma le differenze etniche, sessuali, o, come si dice oggi, di genere. Il marxismo americano e quello europeo hanno in comune il ripudio del cristianesimo e la pericolosa convinzione che ad alcune categorie di persone è concesso fare qualsiasi cosa perché sarebbero portatori di una verità, di una soggettività superiore a quella di altri esseri umani.
Chi detiene quindi allo stato attuale il potere di fare cultura in Occidente?
In epoca moderna il potere o la capacità di fare cultura si trovano negli ambienti accademici, nelle università e negli organi di stampa. Ovviamente questi ultimi hanno bisogno di finanziarsi quindi devono ricorrere al potere economico, ma è un errore credere che potere culturale e potere economico coincidono. Chi finanzia la cultura non è detto che sappia anche di cultura. Anche i ricchi devono ricorrere agli intellettuali, ai ricercatori, ai professori per sapere come funziona il mondo. L'idea per cui chi dispone di ingenti capitali sia anche in grado di dare un indirizzo culturale al mondo è uno dei tanti errori del marxismo. Lo stesso marxismo è la dimostrazione che le cose non stanno così. Se i capitalisti dell'Ottocento e del Novecento fossero stati capaci di dare un indirizzo culturale all'Europa, il marxismo non sarebbe mai esistito, visto che prendeva di mira proprio loro, i ricchi capitalisti, auspicando l'esproprio delle loro ricchezze da parte dei proletari. E invece non solo il marxismo è esistito ma per molto tempo è stata l'ideologia dominante nei principali ambienti culturali europei (è ancora oggi dominante, in una forma però più americana).
Anche nel Rinascimento i ricchi mecenati finanziavano gli artisti affinché facessero pitture e sculture perché loro non erano capaci di farle; se fossero stati in grado di fare una scultura de sé non avrebbero finanziato gli scultori. Quindi oggi come allora potere culturale e potere economico non coincidono. Con la differenza che oggi non è Michelangelo Buonarroti a fare cultura ma le prestigiose università americane e i prestigiosi “think tank” americani. Si dirà: e l'Europa? L'Europa al momento è importatrice netta di cultura dagli USA. Non produce nessuna cultura di sua propria iniziativa. L’Europa non è un soggetto storico, direbbero gli amanti del linguaggio hegeliano. E per quale motivo non è un soggetto storico o, meglio, perché l'Europa non produce cultura? Perché i motori della cultura europea sono spenti: i filosofi si sono assopiti sulle ceneri di Hegel e di Marx, e i cristiani (quei pochi rimasti) si sono chiusi nei bunker a custodire la dottrina (a questi ultimi la domanda è sempre la stessa: a che serve avere una Ferrari chiusa in garage?). La letteratura e le arti figurative in Europa hanno sempre ricevuto linfa dalla religione e dalla filosofia. Se queste ultime spengono i motori, si ferma tutta la cultura in Europa. E in questo momento l'Europa è una nave che naviga a motori spenti trainata dai rimorchiatori americani non sappiamo bene verso dove.
Concludo ancora con alcuni riferimenti storici per dimostrare che potere culturale, potere economico e potere politico non coincidono.
Alcuni studiosi si sono chiesti come sia stato possibile il verificarsi del nazismo in Germania visto che l'Ottocento è stato un secolo di grande fervore culturale per i popoli di lingua tedesca. Ed effettivamente la cultura tedesca è stata l'ultima vera cultura europea. Ma non era tutto oro ciò che in questa cultura luccicava. Ho appena messo in luce gli aspetti pericolosamente violenti del pensiero marxista. Accennerò ora brevemente al romanticismo tedesco, quella grande corrente culturale che si diffuse in Germania a cavallo tra Settecento ed Ottocento; e che si contraddistinse per una forte attrazione per l’oscuro, per il lato ombra dell’uomo, da restare pericolosamente affascinata dal male ignorandone i pericoli. Non è un caso quindi che i tedeschi mostrarono una fascinazione folgorante per Hitler e per il nazismo. Il romanticismo e le teorie di Marx ne avevano culturalmente preparato il terreno. Non confonda al riguardo il fatto che il marxismo sia stato formalmente adottato dai partiti di sinistra. Anche il pensiero di Hitler è marxista nella misura in cui suppone la superiorità storica di un gruppo di esseri umani sugli altri. Al posto di “proletariato” metteteci quello che volete: chiunque pensa che una categoria di esseri umani abbia una soggettività superiore a quella di altri esseri umani e, quindi, debba fare da guida all’evoluzione e al progresso dell’uomo è filosoficamente marxista. Anche chi fosse convinto che questo compito ce l’abbiano i cristiani sarebbe da considerare filosoficamente marxista. Nessun essere umano, in quanto appartenente ad una religione, ad un’etnia o ad un genere sessuale, è portatore di una soggettività superiore a quella degli altri. Ogni essere umano deve fare la fatica di costruire la propria soggettività, e in questo arduo compito nessuno parte in pole position per il fatto di appartenere ad una religione, ad una nazione, ad una classe sociale, ad un’etnia o ad un genere sessuale.
Tornando al nazismo, Hitler ovviamente ha aggiunto al marxismo il carico delle sue aberrazioni caratteriali e spirituali. Ma non sono sufficienti né le turbe caratteriali di Hitler, né la sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale, né la precedente crisi economica a spiegare il nazismo. Certamente alcuni eventi storici hanno contribuito all'ascesa di Hitler, ma non bastano da soli a spiegare quella convinta adesione che i tedeschi mostrarono per le aberranti farneticazioni di Hitler. In Italia al contrario il legame tra gli italiani ed il fascismo non fu così forte. Gli italiani erano fascisti solo politicamente, ma non culturalmente. Come sosteneva l’intellettuale Pier Paolo Pasolini, acuto conoscitore dei cambiamenti culturali del nostro Paese, il fascismo aveva provato a cambiare il carattere degli italiani ma non ci era riuscito.
Pertanto è un errore considerare la cultura e la politica delle mere espressioni del potere economico. E, di conseguenza, per evitare il ripetersi dei drammi del passato non è sufficiente fare memoria degli eventi politici o delle crisi economiche che hanno preceduto e accompagnato gli snodi drammatici della storia, bisogna anche accendere i riflettori sulla cultura. E verificare se, al di là delle apparenze e delle forme, è ancora intatto l’humus culturale che ha permesso il proliferare dei comportamenti aberranti dell’uomo nella storia; comportamenti che, giova ricordare, sono sempre preceduti da dei pensieri; e questi ultimi a loro volta si formano a partire da una filosofia di fondo.
Nessun essere umano può fare a meno della filosofia per elaborare i propri pensieri, in quanto le idee non nascono mai dal nulla, non sono innate; ma si formano a partire da una concezione, da una visione di fondo, che è sempre filosofica. Anche chi non ha mai aperto un libro di filosofia ha una visione filosofica, fosse anche solo implicita e confusa, perché senza di essa non potrebbe elaborare nessun pensiero che vada oltre la mera risoluzione delle incombenze pratiche della vita.
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