venerdì 19 settembre 2025

Scienza e libertà umana

Viviamo in un’epoca che esalta un po’ troppo la forza, la resistenza, l’autoaffermazione. Il mondo esalta, penso da sempre, quella che Nietzsche definisce volontà di potenza, la volontà di affermare se stessi andando oltre i propri limiti, e quelli degli altri; infatti il filosofo tedesco teorizza uno ubermensch (un oltreuomo) che incarni la volontà di potenza, perché evidentemente non ha trovato un semplice uomo (senza il prefisso oltre-) con le caratteristiche che cercava. Ma la filosofia, come qualsiasi scienza, deve indagare la realtà che ci è data, non la realtà che vorremmo ci fosse. In campo scientifico sono le nostre idee (ipotesi) che devono adeguarsi alla realtà, e non il contrario. Altrimenti non è scienza, ma whishful thinking come dicono gli inglesi.

A noi qui interessano gli uomini e le donne, non gli oltreuomini né i superuomini.

(Non voglio sminuire troppo Nietzsche, il suo concetto di volontà di potenza ha una dimensione valoriale positiva; qui si mette in discussione l’assolutizzazione di questo concetto, il pensare che l’essere umano si realizzi nella volontà di potenza. Come i filosofi esistenzialisti cadono nell’errore di assolutizzare la debolezza dell’uomo, Nietzsche commette l’errore uguale e contrario di assolutizzare la forza dell’uomo.)

Oggi in psicologia si è diffuso un concetto che ai miei occhi appare molto simile al concetto di volontà di potenza di Nietzsche: quello di resilienza. La resilienza rimanda all’idea di uomo-capace-di-resistere, di uomo-che-ce-la-fa, insomma di un altro ennesimo ubermensch che si affaccia nella storia (prima dell’uomo-resiliente, abbiamo avuto il self-made man).

Ribadisco che non sono concetti da rigettare totalmente, ma vanno maneggiati con cura, senza abusarne, perché l’uomo è attratto molto dalla forza e poco dalla debolezza.  

L’uomo da sempre alimenta il desiderio di riuscire ad affermarsi (sugli altri), e mette al servizio di questo desiderio tutti gli strumenti di cui dispone. Da qualche secolo ha a disposizione le moderne conoscenze scientifiche. La Storia ci ha già insegnato che non ci facciamo molti scrupoli ad usare anche la scienza per schiacciare, soggiogare e sottomettere il prossimo. Questo dovrebbe essere un monito per chi crede che la scienza in quanto tale sia portatrice di pace. È sempre solo l’uomo che fa la pace o la guerra, e può usare la scienza per fare l’una o per fare l’altra. Ma il soggetto è sempre l’essere umano, con la sua libertà di fare il bene o il male. 

Mettiamoci l’anima in pace una volta per tutte: nessuna disciplina scientifica, dottrina filosofica, ecc. toglierà all’uomo la libertà di fare il male. Marx aveva attribuito al comunismo il compito che noi oggi attribuiamo alla scienza (e forse in modo particolare alla psicologia): quello di redimere l’uomo dal male. Il concetto di redenzione appartiene al cattolicesimo, lì trova il suo habitat naturale; è un concetto che riguarda il rapporto tra Dio e l’uomo. Quando l’uomo si fa Dio e vuole redimere il suo prossimo finisce male (si consiglia al riguardo la lettura dell’enciclica Spe salvi di Benedetto XVI).  

Come psicologi, quindi, preoccupiamoci non tanto di redimere l’uomo quanto piuttosto di non assecondare la sua libertà di fare il male. Pertanto attenzione alle volontà di potenza mascherate da resilienza.


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