Viviamo in un’epoca che parla molto di emancipazione femminile, si è già accennato in questo post come in realtà questa società sia intrinsecamente misogina perché utilizza l’uomo come misura di riferimento per giudicare il grado di emancipazione femminile.
Preciso subito per evitare fraintendimenti: è un progresso di civiltà il fatto che oggi la donna possa ricoprire ruoli lavorativi, comprese cariche pubbliche e politiche, prima ad esclusivo appannaggio degli uomini. L’ingresso delle donne nel mondo lavorativo è stato probabilmente favorito anche dal lungo periodo di pace di cui abbiamo goduto in Europa e in Occidente dopo la seconda guerra mondiale. Non che non abbiamo più avuto tensioni e conflitti armati, ma è dalla seconda guerra mondiale che in Occidente non combattiamo una guerra che comporti la mobilitazione di intere nazioni. Pertanto tale periodo di relativa pace ha riavvicinato gli uomini alle famiglie svincolando le donne dai rigidi ruoli familiari. Ricordiamo che fino alla prima metà del secolo scorso gli uomini trascorrevano spesso lunghi periodi lontani da casa a combattere guerre. Oggi non è più così fortunatamente. E questo è un progresso. Merito anche e soprattutto delle donne, come spiegherò meglio a breve. Qui non si discute di questo, ci mancherebbe altro.
Qui si mette in discussione il modello antropologico maschile, che è stato utilizzato come riferimento per l’emancipazione femminile. Quando invece c’era bisogno dell’esatto contrario.
È stato proposto alla donna l’uomo tout court come modello per la propria emancipazione. Compresi quell’aggressività, competitività, avidità di potere, volontà di possesso e di dominio, sessualità disordinata (che antepone il piacere all’incontro con l’altro), tipicamente maschili. Tutti aspetti che richiedevano, e richiedono ancora, un’emancipazione.
È urgente che su questi aspetti la donna non diventi come l’uomo, sia per il rischio che non rimanga più nessun modello per l’emancipazione dell’una e dell’altro, e sia perché da questo campo la donna uscirà sempre sconfitta. L’uomo sarà sempre più aggressivo, più avido, più violento della donna, come attestano purtroppo i tanti femminicidi ed episodi di violenza sulle donne.
Chi scrive è un uomo, e come uomo la vita mi ha donato tanti modelli femminili (in primis mia moglie), che mi hanno mostrato la sensibilità, il tatto, la delicatezza, l’empatia, la cura per il dolore, l’amore gratuito, la tenerezza, l’umiltà, la forza d’animo, l’accoglienza per il diverso, il sacrificio, la tutela dei più deboli, la capacità di conciliare i conflitti. Non sarebbe possibile per me vivere, lavorare e amare senza questi esempi.
È merito di queste donne se ho aperto questo blog che, tra l’altro, è interamente dedicato a loro.
Le società da sempre si reggono su questi aspetti tipicamente femminili. Nell’ora buia, di un singolo individuo o di intere nazioni, sono le donne che accendono la luce della speranza. La nostra Costituzione, dopo una delle pagine più tristi della nostra storia, ha formalizzato rendendoli dei diritti costituzionalmente garantiti molti di quegli atteggiamenti tipicamente femminili che ho appena citato.
Quando una società perde i riferimenti femminili prevale l’orgoglio, la bramosia di ricchezze, la visione paranoica dell’altro come nemico. Se vogliamo l’equilibrio, l’armonia, la pace (quella vera, non quella imposta dal più forte) dobbiamo ritrovare e preservare il femminile come modello antropologico.
Non c’è speranza senza la donna, non c’è salvezza senza la donna.

Nessun commento:
Posta un commento