martedì 16 settembre 2025

La ferita di abbandono

 Proseguiamo sulla strada già tracciata di indagare sulla natura dell’uomo che, come si è già detto, appare incompiuta, la più incompiuta del regno animale.

In questo post cercherò di indagare la natura umana nelle sue ferite, in una in particolare, la più importante: la ferita di abbandono.

Nel post sull’uomo si è detto che per l’uomo la morte non è comprensibile, non è intelligibile. C’è un’esperienza però che è ancora più dolorosa della morte stessa: l’abbandono da parte di chi dovrebbe amarti. Questa esperienza è la più traumatica per l’uomo, più traumatica della morte stessa. Alcune persone possono arrivare a suicidarsi pur di evitare di vivere l’esperienza dell’abbandono. Ovviamente il suicidio è una falsa soluzione, è un atto egoistico perché quell’esperienza di abbandono che il suicida si è rifiutato di affrontare la carica sulle spalle di chi è rimasto in vita. Nessuna ferita può essere curata procurandola agli altri. Altre persone accettano di buono grado di essere abusate o sottomesse pur di non vivere l’esperienza dell’abbandono.

La ferita di abbandono è nucleare in molti disturbi mentali dei nostri tempi, in modo particolare nei cosiddetti disturbi di personalità, e tra questi, in uno soprattutto tale ferita appare in tutta la sua drammaticità: il disturbo borderline di personalità. Non è l’obiettivo di questo post soffermarsi sulla clinica dei disturbi di personalità, ma dire qualcosa sul retroterra relazionale che indebolisce le difese psicologiche esponendoci al trauma dell’abbandono.

Diciamo subito per sgomberare ogni dubbio che è un errore credere che tale ferita sia presente solo in alcuni disturbi mentali. È presente in tutti gli esseri umani, lo stesso Gesù sulla croce grida e denuncia l’abbandono di Dio. Sia che abbiamo disturbi mentali diagnosticabili sia che non li abbiamo, siamo tutti esseri umani e condividiamo tutti la stessa natura. Semplicemente nelle persone che soffrono di malattie mentali o fisiche, la natura ferita dell’uomo è maggiormente evidente. 

Così come disponiamo di difese immunitarie sul piano fisico, così le abbiamo sul piano psicologico. Ma né le difese immunitarie né le difese psicologiche sono insormontabili.

Oggi l’assenza di assi familiari chiari (se ne è parlato nel post precedente) indebolisce le difese psicologiche e ci rende più aggredibili dai “virus” mentali. Facciamo un esempio, se l’asse genitore-figlio è debole per immaturità del genitore, quest’ultimo potrebbe accostarsi al figlio non avendo chiari i suoi confini e le sue responsabilità, pretenderà ad esempio rassicurazioni emotive e protezione quando invece è compito dei genitori rassicurare e proteggere i figli. Se l’asse marito-moglie è debole sul piano affettivo, per mancanza di amore, per tradimenti, separazioni o minacce di separazioni, ciò esporrà i figli (e i coniugi stessi) ad un senso di precarietà relazionale ed esistenziale: mancherà la principale protezione dalla ferita di abbandono: la certezza di poter contare su legami stabili e indissolubili. Oggi si parla di varie forme di instabilità, da quella geopolitica a quella economica e finanziaria, ma si parla poco dell’instabilità forse più rilevante per l’esistenza umana: quella relazionale. “A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde se stesso”.

Proseguiamo con un ultimo esempio. Se l’asse marito-moglie è debole sul piano sessuale, il genitore potrebbe ricercare nei figli quelle soddisfazioni sessuali che non trova nel partner esponendo i figli a gravi abusi sessuali (si ribadisce che non è necessario l’atto sessuale compiuto, è sufficiente un clima eccessivamente sessualizzato per configurare l’abuso). Tutte queste dinamiche avvengono nella maggior parte dei casi inconsapevolmente. Ciò però non annulla la responsabilità e l’imputabilità di ciò che si fa. Bisogna distinguere l’ignoranza dovuta ad una vera e propria incapacità di intendere e di volere da una ignoranza dovuta al non conoscere ciò che si ha l’obbligo di conoscere. La maggior parte dell’ignoranza umana rientra nella seconda categoria. L’uomo molto spesso sceglie deliberatamente di non usare la ragione perché le verità mediate dalla ragione costano fatica, mentre ciò che è immediatamente evidente non costa nessuna fatica. L’uomo però non può accontentarsi di ciò che è immediatamente evidente, perché, come si è detto in altri post, non dispone di un istinto e i suoi sensi sono molto spesso meno acuti di quelli di molti altri animali. Pertanto l’uomo deve usare la ragione non solo per conoscere la verità ma, anche e soprattutto, per essere uomo. Senza l’intelletto rimane quel sentimentalismo vuoto, falso e fine a se stesso, che oggi purtroppo domina e ubriaca le coscienze. 

Prima sono stati citati alcuni esempi di relazioni familiari disfunzionali. Di tutte le disfunzioni ce n’è una in particolare che espone al trauma dell’abbandono: il rifiuto affettivo. Tutti quei comportamenti che mandano all’altro il messaggio “non ti voglio”. Anche carezze non date possono trasmettere questo messaggio. Prendiamo una madre che non accarezza mai il suo bambino, non lo abbraccia, non mostra manifestazioni di tenerezza; questo bambino riceverà il messaggio di non essere voluto. Ed è così effettivamente, perché se l’amore c’è si deve vedere; se non si vede vuol dire che non c’è. Sia chiaro: a volte non abbiamo il desiderio di stare con i nostri cari, perché siamo esseri umani siamo imperfetti, o semplicemente perché vogliamo stare da soli. Non dobbiamo cercare una perfezione che non esiste, ma dobbiamo chiederci se nel complesso prevale il desiderio di stare con i nostri cari. Se invece prevale il desiderio di fuggire da loro dobbiamo, senza moralismi, approfondire il motivo. Non bisogna fermarsi al sentimento. Il sentimento è l’epifenomeno non l’epicentro delle relazioni. Ciò che caratterizza una relazione è il camminare nella stessa direzione. Se manca un cammino comune non c’è una relazione nel significato più profondo. Ci può essere una convivenza, il condividere lo stesso tetto o lo stesso luogo di lavoro, ma non è sufficiente questa convivenza per dire che ci sono anche delle relazioni. L’amore non si alimenta con le dimostrazioni di affetto spicciole, queste vanno bene quando si è piccoli, poi ci vuole ben altro. L’amore si alimenta con l’assunzione di nuove responsabilità. Molte coppie hanno smesso di camminare insieme perché si sono bloccate di fronte ad una nuova responsabilità; ad esempio, un partner o entrambi si sono tirati indietro all’idea di sposarsi o di avere un figlio. Oppure sono stati fatti questi passi senza una piena consapevolezza delle responsabilità che comportavano. Quindi, vale per la coppia ciò che vale anche per il singolo, così come un uomo di quarant’anni non può pensare di avere le stesse responsabilità di un ventenne, così anche le coppie che stanno insieme da molti anni non possono pensare, ragionare, comportarsi come le coppie che stanno insieme da poco tempo. Bisogna correre il rischio di camminare insieme assumendosi, quando i tempi sono maturi, sempre nuove responsabilità; se non lo si fa, l’amore si spegne, e prevale quella cosa terribile e mortifera che si chiama abitudine. 

Concludiamo questo post con una riflessione finale.

Non basta prendere consapevolezza dei traumi di abbandono vissuti nell’infanzia ad opera di genitori o di adulti trascuranti. Non è sufficiente prender consapevolezza del male che ci hanno fatto gli altri. Un certo psicologismo a buon mercato oggi sta alimentando nelle coscienze la convinzione che la nostra esistenza si esaurisca nell’essere vittime di qualcuno o di qualcosa. Vittime di genitori sbagliati, di politici egoisti, del narcisista o manipolatore di turno, della cultura patriarcale, ecc. A volte effettivamente subiamo delle ingiustizie, non riceviamo amore da chi dovrebbe darcelo, ma l’amore dobbiamo anche darlo e non solo prenderlo. Quindi la prima cura per la ferita di abbandono è non far vivere agli altri l’abbandono che abbiamo vissuto noi; è impegnarsi in relazioni esclusive, dove l’altra persona non è intercambiabile (devo questo concetto illuminante di relazioni esclusive alle conferenze del sacerdote e filosofo italiano Don Luigi Maria Epicoco). Se inizio una relazione con una donna, devo impegnarmi a chiudere la porta a tutte le altre donne. Se inizio una professione devo impegnarmi a chiudere la porta a tutte le altre professioni. Se inizio un’amicizia devo tutelare l’unicità di quell’amicizia. Poi certo nella vita le strade possono dividersi, ma deve essere la vita ad operare le separazioni non la mia incapacità di fare delle scelte ed accettare le inevitabili rinunce che ogni scelta comporta. La vita a volte mi chiede persino di assumermi la responsabilità di ciò che non ho scelto; se non sono disposto nemmeno ad assumermi la responsabilità di ciò che ho scelto, vivrò la vita in perenne fuga.

Nelle terapie psicologiche portiamo spesso il “bambino interiore”, quel bambino che ha bisogno di essere ascoltato, accudito, protetto, che ha bisogno di giocare, di divertirsi. Ognuno di noi si porta dentro un bambino interiore. È importante sforzarsi di ascoltarlo e cercare di non reprimerlo, ma gli stessi sforzi devono essere impiegati anche per far crescere un adulto responsabile. Bisogna mantenere sulla vita quello sguardo di stupore di un bambino e allo stesso tempo assumersi le responsabilità di un adulto. 

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