Nel post precedente ho cercato di dire qualcosa sulla natura dell’uomo il quale, a differenza di tutti gli altri animali, non dispone di un istinto che lo faccia agire con prontezza secondo la sua natura. È anche difficile definire chiaramente la natura dell’uomo. Sempre nel post precedente si è detto che l’uomo è caratterizzato da un intelletto, adesso aggiungiamo che l’uomo è un animale sociale. Le aggregazioni sociali sopperiscono alla mancanza di un principio interiore stabile che guidi l’uomo ad agire secondo la sua natura. L’uomo ha bisogno più di qualsiasi altro animale di formare gruppi sociali, non solo per veder soddisfatti i suoi bisogni di sopravvivenza ma anche per ricevere modelli antropologici a partire dai quali plasmare la sua natura.
Il primo gruppo sociale nel quale l’uomo muove i suoi primi passi è senz’altro la famiglia.
Fino a qualche decennio fa la famiglia era ben definita attorno agli assi padre-madre, genitori-figli; a partire da questi assi era chiaro che cosa significasse essere uomo ed essere donna, essere padre, essere madre ed essere figlio. Non che fossero famiglie idilliache, prive di tensioni o conflitti. Ma erano tensioni che si sviluppavano attorno agli assi ben definiti di uomo-donna, maschile-femminile, paterno-materno, genitore-figlio, come poli dialettici dell’esistenza: la vita era un tentativo di trovare una sintesi tra questi poli. Era come quel famoso gioco della fune dove due squadre contrapposte tirano una corda in direzione contraria. Oggi invece è come se la corda fosse per terra e non venisse più tirata. Non ci sono tensioni dialettiche: uomo-donna, padre-madre, genitore-figlio oggi sono dei contenitori vuoti che non offrono più coordinate per orientare l’esistenza. Anche la stessa psicologia, adattandosi ai tempi, ha smesso di utilizzare questi assi come chiavi interpretative dei disagi psicologici. Sembrano passati millenni da quando Freud utilizzò le dinamiche padre-madre-bambino per interpretare le nevrosi. Lo psicoanalista Massimo Recalcati sostiene che viviamo nel tempo dell’assenza del padre, ma a mio modesto avviso è scomparsa l’intera famiglia.
Questo post sarà un tentativo di andare a ritrovare la famiglia usando la bussola della psicoanalisi freudiana insieme con la dialettica hegeliana.
Partiamo dal nucleo familiare di base composto da madre-padre-figlio. Come è noto il concepimento è frutto dell’incontro tra la cellula sessuale femminile e quella maschile. Una volta avvenuto il concepimento, il corpo della madre assume per il bambino un’importanza capitale. Se l’unità fisica madre-bambino si rompe prematuramente, o per un aborto o per il decesso della madre, gli effetti sulla nuova vita sono letali. È bene non separare troppo la biologia dalla cultura perché questa unità madre/bambino fornisce un imprinting esistenziale che ci portiamo dietro per tutta la vita: madre comporta il significato di due persone che diventano una cosa sola. Il bisogno di diventare una cosa sola con un’altra persona lo manteniamo per tutta la vita. La sessualità umana assolve a questa funzione: prima ancora della riproduzione e del piacere sessuale, la sessualità ha come fine quello di costruire un’unità fisica con un’altra persona. Questa unità è alla base della vita. Per questo la sessualità, quando è sana, si mantiene in equilibrio tra la componente femminile della ricerca dell’unità e la componente maschile della ricerca del piacere sessuale. Ma la ricerca dell’unità è più importante della ricerca del piacere sessuale; le coppie anziane che si amano continuano infatti a mantenere una vita sessuale, sebbene il piacere sessuale possa perdere il vigore della giovinezza. Quindi nella metafora del tiro alla fune, la corda deve essere leggermente più tirata verso la componente femminile, senza però che venga meno la tensione maschile. Se la componente maschile e femminile della sessualità si disgiungono si svilisce la dignità umana: se nell’unione fisica tra due persone manca il piacere reciproco non si può parlare più di sessualità ma di violenza; allo stesso modo, se c’è solo il piacere ma è assente la ricerca dell’unità, non si può più parlare di sessualità ma di mercificazione del corpo, proprio e altrui. Oggi la sessualità viene vissuta, anche dalle donne, con uno sbilanciamento eccessivo verso la componente maschile della ricerca del piacere sessuale a discapito della ricerca (femminile) dell’unità. Questo comporta uno svilimento della dignità dell’uomo e della donna, in quanto il piacere sessuale viene messo al servizio di pratiche che sviliscono la dignità dell’essere umano, ridotto ad oggetto di consumo sessuale.
Se prendiamo in prestito la dialettica hegeliana, possiamo dire che femminile e maschile sono l’uno la tesi e l’altro l’antitesi. Se la tesi (femminile) è formare un’unità tra due persone, l’antitesi (maschile) è rompere questa unità. Si badi: la tesi può esserci solo se c’è l’antitesi, e viceversa.
Il padre, come teorizza Freud con il complesso di Edipo, introduce ad un certo punto un elemento che rompe la diade unitaria madre-bambino: la legge morale. C’è un momento opportuno in cui introdurre la legge morale, Freud lo fa coincidere all’incirca intorno all’età di 4 anni del bambino. Non importa stabilire l’età precisa, anche perché un complesso di Edipo da risolvere è presente in tutte le fasi evolutivamente critiche della vita. Anche la stessa morte presumibilmente fornirà un complesso di Edipo da risolvere. Non che la morte in sé stessa sia un complesso di Edipo: ho già detto nel post precedente che la morte per l’uomo non è intelligibile, qualsiasi tentativo di comprenderla e di spiegarla si risolve quasi in un insulto. Lo stesso Figlio di Dio, Gesù, rimane in silenzio davanti al mistero della morte, non ne fornisce nessuna spiegazione. Della morte possiamo solo dire che essa è l’ultimo e il più grande snodo evolutivo che l’uomo deve affrontare, e siccome per l’uomo è intelligibile solo la vita, ci sarà anche in punto di morte ancora qualcosa di vitale da affrontare.
Adesso è necessario soffermarsi un poco sulla teoria freudiana. Freud sostiene che il rapporto madre-bambino - qui nessuno si scandalizzi - è caratterizzato da una tensione sessuale; d’altra parte se non ci fosse una tensione sessuale non si spiegherebbe perché è necessario introdurre ad un certo punto una legge morale. Freud ha analizzato questa tensione sessuale solo sul versante del bambino, ma questa tensione sessuale è in un certo senso accolta dalla madre. Questa unione fisica madre-bambino nell’allattamento è senz’altro piacevole per il bambino; Freud parla al riguardo di pulsione orale, ovvero la tensione sessuale nel bambino allo stadio dell’allattamento è localizzata nella bocca. Ma l’allattamento deve essere piacevole anche per la madre, questo Freud non lo dice, ma lo possiamo aggiungere noi. Se la madre non provasse piacere nell’allattare il bambino vivrebbe l’allattamento come una violenza su di lei, con conseguenze serie nella relazione con il figlio. Nei corsi di accompagnamento alla nascita infatti si insegnano alle future mamme le posizioni migliori per allattare, affinché l’allattamento non comporti dolore per la mamma. Non deve esserci dolore, l’allattamento deve essere piacevole sia per il bambino che per la mamma. Ed il ruolo del padre in questa fase? Il padre deve tutelare questa unità, quindi in un certo senso deve essere materno anche lui. Anche la società deve tutelare l’unità madre-bambino.
La chiusura dei punti nascita in Italia nel periodo dell’austerità ha rappresentato un regresso di civiltà. Una civiltà si vede in primis da come tratta madri e bambini.
Quand’è che il padre fa davvero il padre inserendo la prima disgiunzione nella relazione madre-bambino? Secondo Freud intorno ai 3-4 anni. A questa età per la prima volta il piacere fisico nel bambino coinvolge i genitali. Si capisce quindi la necessità di inserire un imperativo morale per evitare l’incesto e, allo stesso tempo, per favorire l’autonomia del bambino: noli tangere matrem, non toccare la madre, si sente ingiungere il bambino dal padre. Ecco il complesso di Edipo. Si chiama complesso perché non è un passaggio facile per il bambino, che non riesce a spiegarsi come mai ora non gli è più concesso ciò che fino a prima non solo gli era concesso ma addirittura tutelato. Il bambino non ha gli strumenti cognitivi per comprendere questi processi, può solo accettare l’autorità del padre. Per questo è necessario che il padre in questa fase intervenga (moralmente) solo per lo stretto necessario ad evitare un coinvolgimento genitale nel rapporto madre-bambino. Quindi, con tatto e delicatezza il padre inizia a trasmettere al bambino un senso di pudore e di rispetto nei confronti del corpo della madre. Al bambino ad esempio non è più concesso osservare le nudità della madre, il seno della madre viene celato, non sono più concessi certi contatti fisici. Questo senso di rispetto del corpo della madre sarà poi la base per il rispetto del corpo di tutte le altre donne.
Oggi si discute molto della violenza sulle donne, ma non ci si rende conto che una società che fa della libertà sessuale la misura della propria civiltà è intrinsecamente misogina, in quanto nell’uomo la forza sessuale è maggiore che nella donna. Non è la cultura patriarcale ad essere responsabile della violenza sulle donne, ma l’assenza di qualsiasi argine morale alla sessualità.
Torniamo a Freud per concludere il tema del complesso di Edipo. Freud ha analizzato il complesso di Edipo solo dal lato del bambino, dando per scontato che la madre non avesse difficoltà a staccarsi dal figlio. Può darsi che al suo tempo fosse davvero così, oggi però non possiamo darlo più per scontato. È necessario, quando i tempi sono maturi, non solo allontanare (nel senso di creare delle barriere) il figlio dal corpo della madre, ma anche la madre dal corpo del figlio, per evitare che questo venga reso preda di ambizioni frustrate, di problematiche psichiche non risolte della madre. Va precisato che buona parte di questi processi avvengono inconsapevolmente, ma l’inconsapevolezza non riduce la gravità di certi atti. Si sa, la strada che porta all’inferno è lastricata di buone intenzioni. La totale assenza di pudore con cui noi oggi esibiamo i nostri corpi, la violenza che esercitiamo sui nostri corpi, e talvolta, purtroppo, anche sui corpi degli altri, lascia supporre che molte cose nel nostro sviluppo non sia andate come dovevano andare.
Niente è perduto comunque. La vita offre una seconda occasione per affrontare e risolvere ciò che non abbiamo risolto. Se però sbagliare è umano, perseverare è diabolico.
Ridurre tutto il rapporto madre-figlio ad una tensione sessuale da arginare sarebbe troppo riduzionistico e lontano dal vero. Ci sono altri aspetti che caratterizzano questo rapporto: la tenerezza della madre verso il bambino e la sua aggressività verso qualsiasi cosa rappresenti una minaccia all’incolumità del bambino. L’aggressività maschile invece è più competitiva, è finalizzata a preservare l’onore, il prestigio, il potere. Anche in questo caso una società competitiva come la nostra danneggia le donne. Le donne vengono costrette ad andare sul campo dell’uomo per vedersi socialmente riconosciute. La nostra società non riconosce nessuna specificità alla donna: la donna deve essere come l’uomo. Competitiva come l’uomo, aggressiva come l’uomo. L’emancipazione femminile si misura con questo metro. Ricordiamo che qualche anno fa il calcio femminile veniva sbandierato da tv, giornali e società calcistiche come l’emblema dell’emancipazione femminile.
Penso di essere riuscito a trovare qualche traccia della famiglia. Il lavoro sarà lungo…per il momento possiamo fermarci qui.
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