domenica 26 ottobre 2025

La psicoterapia è efficace?

Prima di poter dire se la psicoterapia è efficace, cioè prima di poter dire quali terapie psicologiche sono efficaci per quali disturbi mentali, bisogna fare una breve introduzione sul modo in cui si conducono gli studi sperimentali in medicina ed in psicologia. 

Le principali ricerche scientifiche in medicina e in psicologia si dividono in due categorie: gli studi clinici randomizzati, RCT - dall'inglese randomized clinical trials -; e gli studi correlazionali. I primi permettono di identificare un nesso di causa-effetto tra un determinato trattamento ed i benefici osservati. I secondi evidenziano correlazioni (cioè associazioni) tra due variabili, come ad esempio tra il fumo di sigarette ed i tumori; si osserva ad esempio che tra i fumatori insorgono tumori in maniera significativamente superiore rispetto ai non fumatori. Nelle ricerche correlazionali non si “manipola” nessuna variabile in laboratorio, semplicemente si osserva l’associazione tra due variabili o fenomeni. Di conseguenza le ricerche di tipo correzionale non sono sufficienti per dimostrare l'efficacia di un trattamento. Non è sufficiente limitarsi ad osservare che a fronte di una determinata terapia si osserva un aumento delle guarigioni, bisogna dimostrare in studi clinici controllati (noti con l'acronimo RCT) che la guarigione è dovuta ragionevolmente all'esclusiva azione di quel determinato trattamento e non ad altri fattori (variabili) non considerati dallo sperimentatore. Gli RCT sono studi rigorosi in cui si isola la variabile da studiare (il trattamento in esame) da tutte le altre variabili che potrebbero giustificare una guarigione o una remissione dei sintomi. Quando una terapia medica o psicologica è dimostrata efficace in tali studi, si può parlare di terapia evidence-based. 

Quali sono i trattamenti psicologici evidence-based (efficaci)?

Per rispondere a questa domanda bisogna rivolgersi all'American Psychological Association (APA), che classifica per la psicologia gli empirically supported treatments (EST). Chi fosse interessato, li trova in questo link, cliccando sulle voci “current treatments” e “archived treatments” si aprirà un menù a tendina con i vari disturbi mentali (o aree funzionali) e i relativi trattamenti psicologici con il grado di validità empirica a supporto (strong, modest, weak, ad esempio). I trattamenti psicologici sono raggruppati per disturbi mentali, evidenziando che: 1) è la diagnosi che detta il campo alle terapie; 2) non esiste una terapia che sia indipendente dal disturbo da trattare. Come d’altra parte avviene per la medicina; sono le malattie a porre la necessità di ricorrere ai trattamenti per debellarle, e non il contrario. Il punto di partenza è sempre il disturbo con la relativa corretta diagnosi. Da noi invece sembra che sia il contrario; il punto di partenza sembra essere la psicoterapia, dando per scontato che essa sia efficace sempre e per tutti i disturbi, senza la necessità di doverlo dimostrare. 

In Italia purtroppo c’è una forte reticenza a fare studi sperimentali rigorosi sull’efficacia delle psicoterapie, per due motivi: uno nobile ed un altro meno nobile.

Partiamo da quello nobile. Culturalmente gli italiani come tutti gli europei hanno una spiccata propensione alla speculazione filosofica, per cui le teorie psicologiche sviluppate da noi si situano spesso al confine tra psicologia e filosofia e, pertanto, non sono suscettibili di essere verificate attraverso studi sperimentali. Per poter verificare sperimentalmente una teoria è necessario che la teoria non abbia spiccati elementi filosofici. Non perché la filosofia non sia una forma rigorosa di conoscenza ma perché le teorie filosofiche - che si rivolgono alle realtà generali - possono essere dimostrate o confutate solo con la logica, e non in laboratorio. Solo gli enunciati scientifici che si rivolgono alle realtà particolari possono essere dimostrati sperimentalmente. Gli americani e gli inglesi sono più pragmatici e meno portati alla speculazione filosofica, pertanto le teorie psicologiche che provengono dal mondo anglosassone sono più scientifiche nel senso che sono più suscettibili di essere vagliate sperimentalmente. 
Per evitare di mutare le differenze antropologiche in differenze di valore, diciamo subito che il mondo è bello perché vario e, soprattutto, è bello perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. Noi abbiamo bisogno del pragmatismo anglosassone e gli anglosassoni hanno bisogno della nostra speculazione filosofica. L’importante però è che il piano della filosofia sia distinto chiaramente dal piano delle scienze particolari (nelle quali rientra anche la psicologia), come più volte ribadito in questo blog.
Purtroppo è tanta da noi la confusione tra scienza e filosofia che tale confusione si riscontra persino in scienze considerate più solide come la fisica. Ad esempio, le teorie sull’origine dell’universo sono spesso più filosofiche che scientifiche, perché si rivolgono ad una realtà generale - l’origine del tutto - e perché nessuno è in grado di riprodurre in laboratorio l’origine dell’universo. La scienza vive di studi di laboratorio e della replicabilità di uno stesso studio da parte di sperimentatori diversi. Perché questo è il modo migliore per dimostrare che una teoria, un enunciato, un’ipotesi rispecchino davvero la realtà (particolare) a cui si rivolgono e non sono delle mere visioni soggettive di chi ha avanzato l’ipotesi. Se una teoria non può essere dimostrata sperimentalmente non è scientifica; nella migliore delle ipotesi è filosofica, se è possibile dimostrarla o confutarla con la logica. Se non è possibile nemmeno questo, siamo nel campo della fede. Non ho nulla contro la psicologia filosofica, anzi, è necessaria, come è necessaria una filosofia della natura; probabilmente per la psicologia la filosofia è più necessaria di quanto non lo sia per la fisica o per la medicina. Tuttavia, se uno studioso si pone l’obiettivo di applicare le proprie teorie alla cura dei disagi e dei disturbi mentali passa dal livello filosofico della psicologia a quello scientifico, e sono pertanto necessari studi sperimentali per dimostrarne l’efficacia. La psicologia non può esimersi da questo. Altrimenti dobbiamo limitarci a credere all’autorevolezza di chi ha elaborato un trattamento psicoterapeutico, senza poterne verificare l’efficacia. Ma questa non è scienza, è fede.

Questi erano i motivi nobili per cui da noi si fa poca ricerca scientifica. Ora diciamo qualcosa sui motivi meno nobili. 

È meglio limitarsi a sbandierare la scienza come vessillo ideologico piuttosto che praticarla realmente, perché la ricerca scientifica fa cadere gli interessi di parte. Se si fa ricerca scientifica seriamente, poi bisognerà anche mostrare pubblicamente gli esiti di queste ricerche e dire, come fa l’APA, quali sono le terapie psicologiche empiricamente validate. E, di conseguenza, queste ultime attireranno il maggior flusso di finanziamenti pubblici e privati a scapito delle terapie che non dispongono di studi empirici a loro supporto, e quindi si ridurrebbe l’eccessiva proliferazione di indirizzi e di scuole di specializzazione in psicoterapia che caratterizza il panorama italiano. Meglio quindi coltivare posizioni di comodo, e non esporsi troppo con la ricerca scientifica. Ma la psicologia quando fa clinica, cioè quando vuole trattare i disturbi mentali, diventa una scienza come la medicina. E come la medicina ha bisogno di studi sperimentali a supporto dei suoi trattamenti. In assenza di rigorosi studi sperimentali possiamo solo fare un atto di fede a favore di tale o talaltro psicoterapeuta. 

Confido tuttavia che il riconoscimento della psicologia come professione sanitaria avvenuto in Italia con la legge 3 del 2018 possa aprire negli anni a venire maggiori spazi per la ricerca sperimentale anche da noi.


Nessun commento:

Posta un commento

L’Europa ed il trauma non risolto

L’Europa è bloccata internamente da un trauma non risolto il quale, come tutti i traumi, presenta delle manifestazioni tipiche: negazione (d...