giovedì 2 ottobre 2025

La frattura interiore

Va dato merito alla psicoanalisi di aver messo in luce che l’uomo è interiormente diviso, scisso. Freud è stato il primo, con il concetto di rimozione, ad affermare che dentro di noi c’è qualcosa che ci è alieno, ci è estraneo, con cui siamo in lotta. Non siamo padroni in casa nostra, questo ci dice la psicoanalisi. 

Resta da chiedersi: se non è l’Io il padrone di casa sua (della sua interiorità), chi ne è realmente il padrone, chi la abita davvero?

Non è una domanda di poco conto. Perché da questa risposta dipende tutta la nostra esistenza. Se pensiamo che l’interiorità sia semplicemente una manifestazione della materia, di connessioni cerebrali e neuronali, allora inevitabilmente la materia sarà il nostro dio, le dobbiamo il massimo tributo perché da essa dipende tutta la nostra esistenza. Il culto che rendiamo ai nostri corpi è frutto di questa filosofia/religione oggi dominante. Passiamo ore in palestra a scolpire i nostri muscoli, siamo espertissimi di nutrizione e di alimentazione, cerchiamo di evitare o, almeno, di mascherare il più possibile i segni dell’invecchiamento: l’uomo moderno non è ateo, adora la materia. E non una materia qualsiasi: ma la materia di cui è fatta il suo corpo. E l’adora per un banalissimo motivo: ritiene che da essa dipende tutta la sua esistenza. Precisione: adora la materia non solo chi passa ore in palestra, ma anche chi cerca a tutti i costi di ricondurre la psicologia al semplice funzionamento del sistema nervoso, del cervello. Allo stesso tempo, l’uomo moderno ingaggia con questa materia una lotta violenta perché, avendo investito il corpo di desideri spirituali che esso non può soddisfare, inevitabilmente incappa nella disillusione, nel rovescio della medaglia: il corpo precedentemente idolatrato diventa, una volta svelato l’inganno, un nemico da combattere. I nostri corpi oggi portano i segni evidenti dei conflitti spirituali che ci caratterizzano, al punto che molte persone possono ritenersi a tutti gli effetti dei reduci di guerra. 

Chi è cristiano (ma anche chi non lo è) eviti qualsiasi moralismo. Ricordo che siamo tutti figli dei nostri tempi e che la lotta spirituale non avviene in astratto, ma prende sempre forme storiche precise. Oggi questa è la forma che ha preso, e quindi nessuno ne è immune. Anzi, chi è cattolico e non si sente coinvolto in questa battaglia deve interrogarsi sui motivi per cui va in Chiesa. Perché tutta la Sacra Scrittura ed i sacramenti della Chiesa Cattolica esistono per preparare e sostenere l’uomo in questa battaglia. “Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato”, a chi si riferiva San Paolo con questa frase? Ai cristiani del suo tempo? Ai giudei? Ai pagani? Evidentemente a tutti gli esseri umani, perché ha aggiunto anche “Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano”. Il cristiano non può limitarsi a fare lo spettatore, a guardare dalla platea la scena del mondo, perché è gravato della responsabilità di portare luce ai fratelli sul campo di battaglia: “A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto”.

Chi non ha ferite o ha combattuto così bene da uscire sempre indenne da ogni battaglia della vita o non ha mai combattuto. È più probabile la seconda, perché neanche il miglior soldato esce da una battaglia senza nemmeno una ferita. Si dirà: ma se le cose stanno così è meglio non combattere. Certo. Purché si sappia che le battaglie non combattute sono battaglie perdute. Ovviamente ognuno è libero di scegliere quali battaglie combattere e quali no, ricordo la famosa frase attribuita a Churchill, “gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calco”. Ricordo anche la frase di Gesù, “a che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde se stesso”. Ognuno è libero di scegliere se guadagnare il mondo o se stesso. Se vuole guadagnare se stesso deve combattere. E molto seriamente.

Ritorniamo alla psicologia, in modo particolare alla psicoanalisi. Abbiamo detto del merito della psicoanalisi, quello di aver rivelato che siamo abitati da un conflitto interiore. Un teologo cristiano potrebbe dire: e cosa c’è di nuovo lo sappiamo da circa duemila anni che la vita spirituale è caratterizzata da un combattimento? Certo, però la psicoanalisi ha messo in luce che questo combattimento assume forme storicamente determinate, che un cristiano non dovrebbe ignorare se non vuole vivere fuori dal proprio tempo, cioè se non vuole rimanere in platea ad osservare i fratelli che combattono sul campo.

Ciò detto, ora denunciamo anche il demerito della psicoanalisi: aver ridotto questo conflitto a qualcosa di meramente psicologico e che, come tale, può essere risolto semplicemente con gli strumenti della psicologia. Questo è un grave errore. Affrontare questa lotta solo con gli strumenti della psicologia equivale ad andare in guerra solo con una cassetta di pronto soccorso. La psicologia e la psichiatria curano il soldato ma non gli forniscono le armi per combattere.

Facciamoci curare dalla psicologia e dalla psichiatria, ma poi ricordiamoci di prendere le armi. 

Ovviamente mi riferisco alle armi spirituali.  

Dobbiamo pertanto riprendere la distinzione tra psiche e spirito già introdotta nel post precedente. Psiche etimologicamente significa anima. È bene però non usare in psicologia questo termine, perché rimanda inevitabilmente alla religione. L’uso indiscriminato in psicologia di concetti che derivano dalla religione e dalla filosofia ha contribuito a formare nell’uomo moderno l’erronea convinzione che la filosofia e la religione possano essere soppiantate dalla moderna psicologia o - che è la stessa cosa - che lo "spirituale" sia solo una proiezione dello "psichico". Non è così. La filosofia e la religione si rivolgono allo dimensione spirituale dell’uomo, che non coincide con la dimensione psicologica. Sarebbe meglio quindi tradurre psiche con Io. Anche l’Io come concetto deriva dalla filosofia (tutti i concetti delle scienze derivano dalla filosofia), tuttavia le funzioni dell’Io (pensieri, emozioni, comportamenti, desideri, ecc.) possono essere studiate da una scienza moderna come la psicologia. Sull’anima invece si può fare una speculazione filosofica, ma non un’indagine scientifica sulle sue specifiche funzioni. 

Si evidenzia che la distinzione tra scienza e filosofia non è basata, come vorrebbe la cultura dominante di oggi, sulla convinzione che solo la scienza fornirebbe una conoscenza rigorosa mentre la filosofia fornirebbe solo vuote astrazioni. Entrambe ampliano la conoscenza della realtà in modo rigoroso: la scienza delle realtà particolari, la filosofia delle realtà prime e generali. L’uomo non può fare a meno né dell’una né dell’altra. Si è parlato all’inizio del post delle conseguenze del ritenere che tutta l’esistenza derivi dalla materia. Quando cerchiamo di rispondere alla domanda da dove ha origine (e, quindi, da che cosa dipende) la nostra esistenza stiamo facendo filosofia e non scienza. E, visto che le risposte a queste domande hanno ripercussioni esistenziali molto serie, faremmo bene a non prendere troppo sottogamba la filosofia.

Torniamo alla distinzione tra psiche e spirito, per concludere questo post ed affermare esplicitamente che il conflitto interiore che caratterizza l’uomo non è una frattura psichica, cioè una frattura della sua personalità o del suo Io - qui sono consapevole di andare contro una lunga tradizione psicoanalitica - ma è un conflitto tra la psiche e lo spirito, tra l’Io e l’Essere. Tra il piano psicologico dell’esistenza particolare ed il piano ontologico dell’esistenza in generale. La teologia cristiana raffigura questa frattura con la caduta dallo stato di grazia, a seguito della quale il rapporto tra l’uomo e Dio, tra l’uomo e l’uomo e tra l’uomo ed il creato è connotato dall’inimicizia. Tutta la missione di Gesù Uomo-Dio è finalizzata a ricomporre questa frattura assumendola su di sé ed inchiodandola alla croce. Tutti i conflitti esteriori dell’uomo sono un tentativo (riuscito o meno) di risolvere, di ricomporre questa frattura.


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