lunedì 13 ottobre 2025

La coesione sociale

Proseguiamo sulla strada intrapresa negli ultimi post, quella di approfondire il significato del Conosci te stesso. Abbiamo visto che in questa massima, secondo gli antichi greci, è racchiuso uno stretto collegamento tra aspetti della realtà che a noi oggi appaiono molto distanti, quasi inconciliabili: dio, interiorità, comunità, scienza e profezia. Negli ultimi due post ho messo in collegamento il concetto di dio con quello di interiorità. Ovviamente per parlare di dio ho fatto riferimento al cristianesimo, la religione che da oltre duemila anni accompagna le tribolate vicende europee. Oggi la dimensione spirituale dell’uomo non viene coltivata nel tempio di Apollo e nemmeno in un tempio buddista, almeno non da noi occidentali (ho spiegato in questo post che le pratiche di meditazione orientale - mindfulness, yoga, ecc. - nel modo in cui le usiamo in Occidente non sono pratiche spirituali). In Occidente abbiamo le chiese cristiane, in Italia in modo particolare abbiamo le chiese cattoliche. Qui si fa spiritualità da noi. Chi nega questa evidenza, nega la realtà. Chi nega la realtà nega il punto da cui partire per fare filosofia, teologia, scienza o semplicemente per fare qualsiasi ragionamento od argomentazione. La stravaganza purtroppo è uno dei marker culturali del nostro tempo: la ricerca dell’alternativo, del diverso, del lontano portata al parossismo e all’esasperazione, al punto da negare ciò che abbiamo davanti agli occhi. Chi oggi vuole parlare di dio, di spiritualità ignorando il cristianesimo si colloca fuori dal tempo, fuori dalla storia, in una nicchia naïf dalla quale non solo non contribuisce al progresso culturale dell’Occidente, la cui religione principale è quella cristiana; ma alimenta anche una scissione sociale che poi aggrava quella interiore (della scissione interiore ne ho parlato qui). È necessario tornare a ricomporre tutto ciò che è scisso e frammentato, sia a livello sociale sia a livello interiore. 

Una delle scissioni fondamentali che caratterizza il nostro tempo è quella tra mondo interiore e mondo esteriore.

Noi abbiamo eccessivamente separato la vita privata dalla vita pubblica: ci preoccupiamo della tutela della privacy oltre ogni ragionevolezza e buonsenso, al punto da percepire la dimensione pubblica come nemica di quella privata: ci preoccupiamo continuamente di essere scrutati, tracciati, profilati. Non ci accorgiamo che questa paranoia è sintomo di un problema, di una scissione interna che è alimentata dagli sforzi che facciamo per costruire un'immagine pubblica che non corrisponde all'immagine che abbiamo di noi quando siamo nell'intimo delle nostre stanze. Come inevitabile conseguenza di questa scissione dobbiamo poi porre in essere una serie di difese, di strumenti o di tutele affinché gli altri non vedano chi siamo veramente. E forse non lo sappiamo nemmeno noi chi siamo davvero. Siamo uno, nessuno e centomila direbbe Pirandello. Se vivo autenticamente la mia vita non c'è scissione, ma coerenza tra come mi comporto quando sono solo e come mi comporto quando sono davanti agli altri. Noi invece oscilliamo tra l'esibizionismo con cui mostriamo attraverso i social la nostra (falsa) vita privata e la paura paranoica che gli altri sappiano troppo di noi. Quindi chi siamo veramente? Qual è la nostra vera identità? Quella pubblica o quella privata? O nessuna delle due? 

Per ricomporre la frattura interiore è necessario recuperare una coerenza tra come ci comportiamo privatamente e come ci comportiamo pubblicamente, perché tutto ciò che facciamo, ogni comportamento pubblico o privato che mettiamo in atto, incide sulla nostra interiorità, plasma in un certo senso il nostro mondo interiore. Se ci comportiamo in modo contraddittorio, anche il nostro mondo interiore sarà contraddittorio; se abbiamo una coerenza di comportamenti anche la nostra interiorità avrà una coerenza. Quindi la prima cosa da fare per ritrovare un’unificazione interiore non è fare tante analisi interiori ma sforzarsi di essere coerenti in ogni frangente della nostra vita, anche quando costa fatica e sarebbe più conveniente fingere di essere qualcun altro. 

Un altro aspetto rilevante che riguarda l'uomo nella vita sociale e nel rapporto con la comunità di appartenenza è la dimensione politica. L’uomo è uno zoon politikon, un animale politico, lo definiva Aristotele. Purtroppo però l’uomo occidentale si è trasformato negli anni da animale politico ad animale in-perenne-conflitto politico, non è più capace di distinguere una vera rivoluzione dalla sterile ribellione adolescenziale. Vive in perenne ribellione contro le autorità costituite, in un’adolescenza che non vede mai una risoluzione. Adotta la protesta adolescenziale contro tutto ciò che non gli piace; e non mi riferisco solo alle classiche proteste di piazza ma anche a quell’atteggiamento di perenne lamentela che ormai inquina tutti gli ambiti della nostra vita. Non sa fare più la fatica di accettare ciò che non gli piace, non in virtù di una passiva sottomissione ma di un’attiva assunzione di responsabilità nei confronti della comunità a cui appartiene, nella quale non sa più che ruolo svolgere essendo tutto ripiegato sul proprio Io. Vive il rapporto con la comunità di appartenenza a senso unico: la società deve sempre dargli ciò che vuole, deve corrispondere a tutti i suoi ideali (o presunti tali). Non distoglie più lo sguardo dal suo ombelico; dai suoi desideri, dai suoi bisogni, dalle sue idee, e se il mondo esterno non si allinea a tutto ciò inizia a puntare i piedi. Non conosce più la fatica della mediazione, del compromesso; tutte attività tipicamente politiche che richiedono pazienza, prudenza, strategia e non l’avventatezza impulsiva, attività che non riguardano solo la politica di professione ma tutti gli ambiti della nostra vita, in particolare la vita sociale, compresa anche la vita di coppia e familiare. 

Purtroppo a partire dall’illuminismo si sono succeduti studiosi e filosofi che hanno collocato queste fratture sociali in seno ad un presunto stato di natura dell’uomo. Quasi che le lotte intestine siano lo stato naturale dell’uomo nella società. In maniera simile gli psicoanalisti hanno teorizzato una frattura sul piano psicologico. L’unica vera frattura che caratterizza l’uomo è quella tra l’Io e l’Essere, l’uomo è l’unico animale la cui essenza può separarsi dall’Essere, e può spingere tale separazione fino al punto di renderla irreversibile. Questa è la frattura più seria e più drammatica da cui derivano tutte le altre fratture, che però non sono insite in nessuno stato di natura dell’uomo.

La storia stessa smentisce questi presunti stati di natura.

Se ritorniamo al mondo antico, spostandoci da Atene a Roma, ci accorgeremo che le fortune dei Romani furono basate sulla coesione sociale tra il re ed il popolo nella Roma monarchica e tra patrizi e plebei nella Roma repubblicana; chi ricopriva le cariche pubbliche lo faceva con coscienza e senso di responsabilità, i più ricchi servivano nell’esercito per più anni e morivano in guerra insieme con i meno ricchi, i plebei dal loro canto riconoscevano le maggiori capacità dei patrizi nella guida dello Stato. La vita sociale romana era saldamente ancorata all’osservanza della legge, al rispetto dell’autorità, alla fermezza di fronte alla morte. Inoltre, i primi re erano più dei sacerdoti che dei politici, si occupavano prevalentemente di funzioni religiose; di poteri politici ne avevano pochi, erano dei semplici delegati del popolo. Quando questa coesione sociale si è rotta è iniziata la lunga parabola discendente di Roma. E anche noi oggi in Europa ci troviamo in una simile parabola discendente, iniziata almeno tre secoli fa - le traiettorie delle civiltà hanno tempi molto più lunghi di quelle delle singole vite umane -. È chiaro che i modelli politici dell’antica Roma non sono oggi proponibili data la complessità antropologica e sociale che l'uomo ha raggiunto. Ma è sufficiente questo esempio storico per smentire tutte le dissertazioni sul presunto stato di natura dell’homo homini lupus, o della lotta di classe come forza dialettica che muoverebbe la storia. Al contrario, è necessario ritrovare una unificazione delle varie dimensioni dell’uomo, pur nel rispetto dei metodi e degli strumenti tipici di ogni dimensione umana. E, soprattutto, è necessario ritrovare una gerarchia dei valori, quella gerarchia che l'uomo europeo ha stravolto totalmente, facendo prevalere l'animalità sulla spiritualità (vedasi Nietzsche). Al primo posto devono esserci i valori spirituali (giustizia); al secondo posto quelli sociali e politici (pace sociale, stabilità politica); e al terzo gradino i valori riguardanti il corpo (l'animalità) come, la salute e il vigore fisico, il benessere e i piaceri fisici. Non si intende dire che valori di rango inferiore come il vigore fisico o il piacere sessuale debbano essere combattuti, ma non devono essere considerati valori supremi (Sofia Vanni Rovighi). In assenza di questa gerarchia l’Assoluto può diventare lo Stato, con la conseguenza che i capi delle nazioni pretendono il totale asservimento dei cittadini agli interessi dello Stato incarnato nella figura del capo politico; può diventare la salute fisica, con la pretesa del totale asservimento della comunità sociale e politica alle disposizioni impartite da medici e virologi, come avvenuto nel periodo della pandemia di covid-19. In relazione a quest'ultimo punto, è stato però colpevole anche il comportamento di quegli italiani che hanno deciso di non vaccinarsi perché hanno ritenuto che i rischi del vaccino fossero per loro superiori ai benefici. Ammesso che si sia trattato di una valutazione corretta, erano comunque tenuti ad obbedire alle autorità politiche e sanitarie perché la pace sociale è un valore superiore alla propria vita - è inutile pretendere la pace nel mondo se poi fomentiamo le lotte intestine a casa nostra -; la disobbedienza rompe la coesione sociale, mina la fiducia tra il popolo ed i governanti, tra i cittadini e le autorità, pertanto, è accettabile solo quando è finalizzata a preservare i più alti valori etici e morali e non semplicemente per preservare la propria vita, altrimenti nessun soldato si sacrificherebbe mai per la difesa della propria patria. Ovviamente ciò sarà possibile solo se ammetto una gerarchia di valori ad es., la pace è un valore superiore alla mia vita; la giustizia è un valore superiore alla pace (una pace ingiusta non è un valore). Anche Socrate agì secondo una gerarchia di valori quando decise di accettare la condanna a morte pur ritenendosi innocente. Socrate decise di accettare la sentenza del tribunale di Atene, nonostante i suoi amici lo invitassero a fuggire dalla città, perché considerava la polis più importante della sua stessa vita ed era inoltre convinto che un Dio giusto avrebbe ricompensato il suo comportamento.   

Purtroppo ancora oggi c'è chi spiega la crisi economica europea con il conflitto di classe: la nostra crisi è molto più profonda ed è legata all’incapacità di conformare la nostra vita a valori diversi da quelli economici - la stessa Europa è tenuta insieme da una moneta -; di conseguenza, l’uomo non trovando nella vita sociale valori più alti di quelli economici è incoraggiato a correre solo per l’appropriazione e l’accumulazione di beni e risorse materiali; corsa in cui paga le spese inevitabilmente chi è più svantaggiato. Ma questo non è un presunto stato di natura della società. Questo è l’impietosa fotografia di una società decadente. I filosofi che “naturalizzano” tale società rifacendosi all’homo homini lupus o alla lotta di classe come ineluttabili leggi sociali offrono la loro filosofia a tale decadenza, aggravandola perché ne forniscono una giustificazione razionale e, quindi, morale. 







Nessun commento:

Posta un commento

L’Europa ed il trauma non risolto

L’Europa è bloccata internamente da un trauma non risolto il quale, come tutti i traumi, presenta delle manifestazioni tipiche: negazione (d...