L’Europa è bloccata internamente da un trauma non risolto il quale, come tutti i traumi, presenta delle manifestazioni tipiche: negazione (della verità); difficoltà a mandare il passato nel passato che si fa presente in forma o di fantasmi non elaborati o di una nostalgia di una presunta età dell’oro; incapacità di vivere il presente ed il futuro con realismo, senza oscillare tra pessimismo ed ottimismo (che sono le due facce della negazione della verità).
Qual è questo trauma irrisolto?
Il nazifascismo e la sconfitta nella seconda guerra mondiale.
Soldati polacchi all’interno delle rovine dell’Abbazia di Montecassino.È bene non separare questi due fenomeni come invece ha fatto una certa storiografia, soprattutto italiana, dal secondo dopoguerra in poi. La sconfitta del nazifascismo ha coinciso con la sconfitta dell’Europa nel secondo conflitto bellico. Ovviamente è giusto ricordare la liberazione dal nazifascismo - che è stata un bene - come facciamo in Italia ogni 25 aprile. Ma tale data più che una festa dovrebbe essere il ricordo di un lutto; dovrebbe quindi favorire l’elaborazione del lutto e non negarlo.
Non ci siamo liberati da noi stessi: siamo stati sconfitti.
Se le vicende belliche non avessero preso la piega che hanno preso, gli italiani sarebbero rimasti convintamente fascisti, come lo erano alla vigilia della scoppio della seconda guerra mondiale. Churchill rimase colpito nel constatare come gli italiani da 45 milioni di fascisti si fossero rapidamente trasformati in 45 milioni di antifascisti. Per carità, cambiare idea è segno di intelligenza, soprattutto dopo che si sono commessi errori gravi, ma dietro tale repentino cambiamento c’è la negazione di ciò che siamo stati. Il fascismo purtroppo è stato un frutto marcio della nostra libertà che, ricordo, è tale proprio perché implica la possibilità che possa essere usata male. Abbiamo voluto la guerra, e l’abbiamo persa. Siamo stati sconfitti dalla Storia.
Sconfitti. Non vincitori.
Perdere una guerra mondiale non è come perdere una partita a tressette ai giardinetti della nostra città. Domani si fa un’altra partita e amici come prima. Non funziona così. Il clima prospero e frivolo che ha caratterizzato l’Europa Occidentale nel secondo dopoguerra ha inevitabilmente fatto perdere di vista tale rilevante aspetto.
Cosa comporta perdere una guerra mondiale?
Comporta essere soggetti all’influenza delle potenze vincitrici che, per fortuna, di quelli che sono nati da questo lato della cortina di ferro, erano gli USA. I quali, almeno su di noi, hanno esercitato la loro influenza in modo non oppressivo, al contrario di quanto ha fatto l’URSS con i paesi dell’Est Europa, che oggi sono giustamente spaventati all’idea di finire nuovamente sotto il dominio russo.
Altro aspetto che ignoriamo: senza la tutela americana, cioè senza le basi NATO, saremmo finiti anche noi sotto il controllo russo e l’Europa Occidentale non avrebbe mai goduto della prosperità e della libertà di cui ha goduto nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale.
Il fatto che non ci siamo più occupati di difesa - perché abbiamo perso una guerra - ha prodotto in Europa un pacifismo che, come tutte le ideologie, è falso e non aderente alla realtà. La necessità di difendere i propri confini non è mai venuta meno, né nel mondo né tantomeno in Europa. Semplicemente lo hanno fatto gli americani per noi, lasciandoci liberi al termine della guerra di occuparci della nostra ricostruzione e della nostra ripresa economica.
Oggi gli americani per motivi che non ho ben chiaro - non sono esperto di geopolitica - non vogliono più farlo o, comunque, vogliono che gli europei si riapproprino della difesa dei loro confini.
Di questo dovremmo essere contenti, perché significa avere maggiori margini di libertà (sperando di non usarla come abbiamo fatto l’ultima volta). Dovrebbero essere maggiormente contenti proprio quelli che non hanno mai avuto particolare simpatia - per usare un eufemismo - verso l’influenza americana.
A patto però di ritornare alla realtà: il pacifismo europeo era solo un’ideologia, un vuoto contenitore con cui abbiamo coltivato l’illusione di contare qualcosa di fronte al mondo, ai cui occhi non eravamo nient’altro che paesi sconfitti.

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