giovedì 4 dicembre 2025

La religione del progresso

Nelle premesse di apertura di questo blog avevo affermato che l’uomo non può fare a meno della religione, perché la ragione umana - nonostante i deliri dell’illuminismo - non è in grado di penetrare e spiegare tutta la realtà. 

Il reale non è tutto razionale, tutto intelligibile dalla ragione umana. 

Laddove però il reale si presenta come razionale e intelligibile è doveroso usare la ragione; che comporta fatica, perché la ragione umana è discorsiva, ha bisogno di ritornare più volte sulla stessa realtà per approfondirla e comprenderla sempre meglio. Noi non siamo capaci di comprendere la realtà una sola volta con un atto intellettivo unico.

Un altro degli sforzi di questo blog è quello di cercare di distinguere il più chiaramente possibile il campo del razionale da quello dell’irrazionale. Ciò che è razionale può essere indagato e compreso con le scienze e con la filosofia, teologia compresa, - sì, la teologia non è di per sé fede, è un discorso razionale su Dio, è fondamentalmente una metafisica -. Ciò che è irrazionale, ignoto, sconosciuto, incomprensibile con l’intelletto umano, o rimane tale, cioè ignoto, - ma l’uomo non può tollerare troppo l’incertezza dell’ignoto - o deve essere inserito in una cornice di senso fornita dalla fede.

Per fede in questa accezione si intende semplicemente credere all’autorità di qualcuno senza fare lo sforzo di usare il proprio intelletto. Se ci riflettiamo, nell’arco della giornata facciamo tanti atti di fede: dobbiamo prendere per vero molte cose che non possiamo né sperimentare personalmente né indagare con la nostra ragione. La fede così intesa non costa nessuna fatica; per questo è bene, quale che sia la fede che uno abbia, non usarla come scorciatoia per evitare la fatica dello studio. Se è un cristiano ad usare la fede come scorciatoia ciò è ancora più grave, perché sottende una superbia di fondo: la convinzione che la fede lo ponga al livello di un intelletto divino che può comprendere il reale con un atto intellettivo unico senza fare, come tutti gli altri esseri umani, la fatica dello studio.

Sulla base di cosa decidiamo di accogliere qualcosa come vera o di rigettarla come falsa? Sulla base dell’autorevolezza della fonte. Se un’informazione proviene da una fonte che considero autorevole sarò propenso a prenderla come vera, a meno che non contrasti evidentemente con dati di realtà in mio possesso o con ciò che ho indagato tramite la mia scienza e il mio intelletto.

E sulla base di cosa considero una fonte autorevole? Sulla base della religione di fondo a cui aderisco. Che deve essere esplicitata con l’aiuto della ragione; della filosofia in modo particolare. Se non faccio lo sforzo di esplicitare qual è la mia religione di fondo sarò fondamentalmente un cieco che non sa nemmeno di esserlo. 

Oggi in Occidente ci sono due religioni principali a cui aderire: la religione del progresso e la religione della salvezza. Ci sono ovviamente anche altre religioni nel mondo a cui è possibile aderire, alle quali però non farò riferimento non perché non ne riconosca la dignità ma perché non le conosco a sufficienza e, in ogni caso, in Occidente sono marginali, non incidono quindi in modo significativo sulla vita pubblica e sociale. Ogni religione è legittima nella misura in cui contribuisce alla costruzione della propria interiorità e non lede quella degli altri. Dio ci scampi dalla religione unica imposta urbi et orbi. Oggi chi detiene il sapere che, nella società dell’informatizzazione di massa, è potere al pari se non più del denaro, vorrebbe imporre a tutto il mondo la religione unica del progresso. Vorrebbe cioè che la vita pubblica, politica e sociale fosse unicamente plasmata dal progresso e tutto il resto relegato al rango di un intimismo privato estromesso dalla vita pubblica e, di conseguenza, falso. Se non posso professare in pubblico la fede che vivo in privato, la mia fede e la mia esistenza che su quella fede si basa sono entrambe false. La religione del progresso ammette che pubblicamente si parli di altre religioni a patto che queste ultime accettino di essere inglobate nei propri paradigmi. Si può parlare, ad esempio, della Bibbia purché la si umanizzi, la si riduca ad una sorta di manuale di psicologia che aiuti l’uomo a comprendersi meglio; non deve però aiutare a conoscere Dio, a svelare Dio, altrimenti entrerebbe in conflitto con l’altro dio, oggi dominante, il Progresso.

Quest’ultimo è un dio particolare in quanto, a differenza di tutte le divinità che hanno costellato la storia dell’uomo, rimuove la morte. Cioè, è un dio che non assolve alla funzione principale di una religione: aiutare l’uomo a vivere e a penetrare il mistero della morte. 

Nel mondo dominato dalla religione del progresso di morte non si deve mai parlare, lo stesso vocabolo “morte” deve essere sostituito orwellianamente da vocaboli più mansueti. Ed è facile anche intuire il motivo per cui la morte è l’incubo del dio Progresso, perché la sua religione si nutre di un dogma fondamentale: oggi è meglio di ieri e domani sarà meglio di oggi. Nell’oggi e nel domani non deve esserci spazio per qualsiasi cosa contraddica questo assioma, quindi se domani sarà meglio di oggi non può esserci spazio per la morte. 

Eppure la morte c’è. È reale, anche se non è razionale. Non che sia irrazionale in quanto tale, è irrazionale per la ragione umana che non è in grado di comprenderla. E allora che si fa? La si rimuove, la si allontana, la si obnubila nelle coscienze. Il dio Progresso non può fare altro che questo. Offre in compenso molte distrazioni, piaceri di ogni tipo, godimenti di ogni risma. Offre qualsiasi cosa pur di impedire all’uomo di entrare in se stesso. Entrare nella propria interiorità è sempre un’esperienza di morte, per questo non amiamo il silenzio, né nelle chiese (come si è detto nel post precedente), né in qualsiasi altro luogo in cui ci troviamo. Il silenzio è l’anticamera della morte. Altro punto che vale la pena evidenziare: la cultura in cui siamo immersi, nonostante abbia sempre la parola psicologia sulla sua bocca è fortemente antipsicologica, perché impedisce il silenzio che non è solo l’anticamera della morte ma anche l’anticamera dell’interiorità.

 (L'adorazione del vitello - illustrazione biblica della     Providence Lithograph Company, 1901)


A questa religione aderisce oggi la maggior parte delle persone, essendo la religione dominante in Occidente. E come tutte le religioni, ha i suoi riti, i suoi dogmi, i suoi templi e, soprattutto, ha i suoi infedeli da mettere al bando. Oggi siamo arrivati al punto paradossale che in nome della scienza si censura la scienza stessa (si consiglia al riguardo di ascoltare le audizioni della Commissione Covid, questa in particolare), trattandosi di una religione che si ammanta di “scientificità”. È questa la sua principale e grave menzogna: i suoi atti di fede li maschera sotto false spoglie scientifiche. Quindi l’antidoto, prima ancora che contrapporle un’altra religione, è usare bene la ragione. Cosa che questa religione teme particolarmente, perché si vede battuta nel suo stesso terreno. Per questo motivo il suo clero è particolarmente intransigente con professionisti, studiosi, ricercatori che non si allineano ai suoi dogmi, perché la minacciano dall’interno. E, si sa, le minacce più pericolose per una religione vengono sempre dal suo interno. 

Vedasi ancora una volta le sanzioni e le censure che hanno subito medici e ricercatori, anche autorevoli, che non si allineavano a ciò che la religione dominante imponeva nel periodo della pandemia, come emerge dalle audizioni della citata Commissione. Ovviamente non sto parlando delle censure e sanzioni verso chi ha comportamenti non corretti, dal punto di vista deontologico ed etico. Queste sanzioni sono giuste e legittime. Sto parlando di chi si è visto sanzionato non in virtù di un comportamento deontologicamente scorretto ma perché non allineato a ciò che i detentori della religione dominante emanavano. 

I sacerdoti di questa religione come nel miglior teatro dell'assurdo hanno creato un clima di censura che, in nome della scienza e del progresso, conculcano la libertà di espressione, il dubbio, il rischio della ricerca, insomma, tutto ciò di cui sia la scienza che il progresso si nutrono.


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