mercoledì 3 dicembre 2025

Silenzio, adorazione e vocazione

C’è un tempo per parlare e un tempo per fare silenzio.

Nella nostra epoca invece c’è un tempo per parlare, e un tempo per parlare… Non c’è il tempo del silenzio. Tra social network, internet, cellulari siamo sommersi dal chiacchiericcio continuo; siamo affetti da una vera e propria dipendenza collettiva dal rumore e non ci accorgiamo di aver perso il segnale: non riusciamo a fare l’esperienza del silenzio interiore; luogo unico e insostituibile per “sentire” la propria vocazione. Fino a poco tempo fa c’erano solamente la televisione e i giornali a privare l’uomo della sua interiorità, oggi ci sono strumenti molto più pervasivi. Pier Paolo Pasolini diceva che la televisione è un medium di massa e il medium di massa non può che mercificarci ed alienarci. Oggi i media di massa hanno raggiunto un livello di pervasività che la televisione non aveva nemmeno lontanamente sfiorato.  

In ogni caso non sono gli strumenti ma l’uso che ne facciamo ad alienarci - Pasolini infatti andava spesso in tv -.

Alienarci da cosa? Dalla nostra interiorità. È alienante tutto ciò che impedisce all’uomo di fare l’esperienza della contemplazione, la quale ha bisogno di un silenzio interiore. In passato erano disumane le condizioni di lavoro che privavano l’uomo del tempo libero necessario per coltivare la dimensione contemplativa della vita. Oggi invece di tempo libero ne abbiamo molto ma lo sprechiamo in rumorose e vuote distrazioni. Se, ad esempio, al termine di una giornata di lavoro passo tutto il tempo a “scrollare” video o post sui social network, ciò è alienante perché mi priva del silenzio interiore necessario per accedere alla dimensione contemplativa della vita. 

E siccome il silenzio interiore non è piacevole, siamo soliti usare qualsiasi cosa pur di scappare da noi stessi. 

Persino le chiese che dovrebbero essere il luogo per eccellenza del silenzio orante sono diventate il luogo di un rumore continuo, che qui si presenta sotto le nobili spoglie della preghiera vocale. Ormai per stare in silenzio davanti al Signore bisogna aspettare che siano terminati i momenti liturgici, quando cioè la chiesa è vuota. Ed è un peccato. Perché anche l’orazione silenziosa, come tutte le preghiere, avrebbe bisogno di una dimensione comunitaria; o, meglio, la comunità avrebbe bisogno di fare esperienza dell’abbandono filiale e fiducioso al Padre nel silenzio orante davanti al Santissimo. Tra l’altro non esiste solo la vocazione individuale, ma anche quella comunitaria. E sarà molto difficile ascoltare gli inviti che il Signore rivolge alla comunità se le ore dedicate all’adorazione eucaristica le passiamo, non in silenzio, ma snocciolando rosari, corone, litanie, ecc. È inutile poi lamentarsi della scarsità di vocazioni: le vocazioni non sono un’iniziativa dell’uomo ma di Dio: quindi se l’iniziativa la prendiamo sempre noi non lasciamo spazio al Signore che, rispettoso della nostra libertà, si fa da parte. 

Si obietterà: ma San Giovanni Paolo II consigliava di recitare il rosario davanti dal Santissimo. - Certo. Ma come preparazione e non in sostituzione dell’adorazione silenziosa. San Giovanni Paolo II passava intere notti in silenzio davanti al Santissimo, quindi è da escludere categoricamente che invitasse i fedeli a riempire il silenzio - che permette l’ascolto della volontà di Dio - con le preghiere vocali. Il rosario deve essere un modo per favorire l’entrata nel deserto interiore e non - come purtroppo avviene oggi - per alleviare con un po’ di rumore vocale l’inevitabile disagio che comporta lo stare in silenzio davanti al Signore. Il rosario è spiccatamente contemplativo, è la preghiera che più di altre facilita il mettersi alla presenza silenziosa di Gesù, a patto di non usarlo come una sterile e meccanica ripetizione di ave Maria. Ripeto: se non si vuole fare la fatica di entrare nel deserto interiore si userà qualsiasi cosa, rosario compreso, come difesa nei confronti del silenzio. E i sacerdoti non dovrebbero incoraggiare l’uso della preghiera come una fuga dal silenzio, soprattutto nell’adorazione eucaristica dove il silenzio dovrebbe essere massimo, visto che stiamo alla presenza del Signore. Se crediamo davvero alla presenza reale di Gesù nell’eucaristia. Se non ci crediamo riempiremo il silenzio di chiacchiere.

Questo non è un suggerimento mio ma del Cardinal Robert Sarah che, nel libro intitolato “Si fa sera e il giorno ormai volge al declino”, esprime al riguardo molte esortazioni ai sacerdoti e ai fedeli. Ne riporto brevemente alcune:

Se non ritroviamo il senso delle lunghe e pazienti veglie in compagnia del Signore, noi lo tradiremo. (…) Non si tratta di moltiplicare le devozioni. Si tratta di tacere, di fare adorazione. Si tratta di metterci in ginocchio. Di entrare con timore e tremore nella liturgia, che è un’azione di Dio, non un teatro. (…) Fino ad allora gli saremo d’ostacolo con le nostre agitazioni e le nostre chiacchiere. Se non appoggiamo, come san Giovanni, il nostro capo sul cuore di Cristo, non avremo più la forza di seguirlo fino alla Croce.

Si tratta di tacere e di fare adorazione altrimenti saremo di ostacolo al Signore con le nostre chiacchiere. Più chiaro di così! Sono ferme parole di esortazione che provengono dal cuore di uomo innamorato di Dio e del suo popolo. Sono, come dice il Cardinale stesso, “un grido dell’anima! Un grido d’amore per Dio e per i miei confratelli!” 

Per il Cardinal Sarah è talmente rilevante il silenzio che sul tema ha espresso i suoi pensieri in un colloquio con Nicolas Diat riportati nel libro “La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore”, nel quale il Cardinale denuncia come il rumore costante che caratterizza la vita occidentale sia entrato nella liturgia. L’uomo occidentale non sa stare in silenzio nemmeno nel luogo che più di ogni altro lo dovrebbe indurre al raccoglimento interiore: la chiesa. Il silenzio non è un manierismo personale ma, sull’esempio di Gesù che passava le notti in preghiera, è il luogo privilegiato in cui i santi di ogni tempo hanno fatto esperienza dell’incontro con Dio. Privarsi del silenzio significa privarsi di Dio: questa è l’accorata denuncia del Cardinal Sarah. Il quale non essendo occidentale è più lucido di noi nel diagnosticare i mali della nostra cultura. Pertanto quale che sia la preghiera vocale che prediligiamo, se essa non porta all’incontro con il Signore nel silenzio della nostra interiorità non è vera preghiera, si tratta solo di formule che recitiamo meccanicamente. 

Se non restituiamo a Dio lo spazio che merita soprattutto nelle chiese che sono il suo tempio, Dio abbandonerà l’Occidente al suo destino. 

Se le chiese cessano di essere luoghi di preghiera cioè di silenzio adorante, ci verranno tolte. Si realizzerà, anzi si sta già realizzando la seguente parola: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato ad un popolo che ne produca i frutti.

In questo tempo di Avvento quindi ritorniamo a vegliare in silenzio e lasciamo che dal cuore sgorga spontaneamente e con fiducioso abbandono la preghiera che i discepoli di Emmaus rivolgono a Gesù Risorto: Signore resta con noi perché si fa sera ed il giorno ormai volge al declino.

Nessun commento:

Posta un commento