sabato 20 dicembre 2025

L’altro, il disagio ed il sacro

L’uomo è caratterizzato da una incompletezza originaria, da una inadeguatezza, da un costante rumore di fondo. Da qualcosa che è in stretta relazione con ciò che nella teologia cristiana si chiama peccato originale. Il peccato originale non deve essere eccessivamente spiritualizzato perché ha ripercussioni esistenziali e psicologiche serie di cui tutti facciamo esperienza, ed una in particolare, il vissuto di non essere padroni della nostra interiorità. 

Quando l’uomo entra in se stesso non fa esperienza della pace, della quiete, ma di un costante disagio di fondo, di un rumore, di qualcosa che non gli appartiene a cui nel corso degli anni abbiamo dato vari nomi, alienazione, vuoto, scissione interiore, disagio della civiltà, ecc. 

Con l’avvento della modernità e, quindi, di una maggiore padronanza del mondo da parte dell’uomo abbiamo inizialmente pensato che cambiando le strutture sociali e politiche avremmo anche risolto questo disagio. 

Tuttavia, seppur i cambiamenti sociali e politici hanno prodotto maggiore benessere e maggiore libertà, il disagio dell’uomo non è stato del tutto spento, ma ha preso altre forme, più interiori e psicologiche. 

Oggi non ci poniamo più l’obiettivo di cambiare le strutture sociali ma quelle psicologiche. Cerchiamo di cambiare la nostra interiorità, i nostri pensieri, la nostra affettività, la nostra personalità. 

Ovviamente facciamo bene a farlo, così come abbiamo fatto bene a cambiare le strutture sociali e politiche nella direzione di una maggiore democrazia. Tuttavia, non dobbiamo pensare che in questo modo risolveremo definitivamente il problema dell’inadeguatezza che caratterizza la natura umana. 

Tale inadeguatezza ha bisogno di uno sfondo teologico per poter essere compresa a pieno. Non è semplicemente il frutto di strutture psicologiche disfunzionali o di strutture sociali inique. L’uomo anche se vivesse nella migliore società possibile, con le migliori opportunità, con le migliori esperienze relazionali ad affettive possibili continuerebbe a provare un’insoddisfazione di fondo. Continuerebbe a sentire una mancanza che non può essere colmata con ciò che è semplicemente terreno ed umano.

Tale incompletezza non è di per sé peccato, non è cioè motivo di vergogna. Adamo ed Eva provano vergogna della loro nudità solo dopo aver mangiato la mela; erano nudi anche prima di commettere il peccato originale, tuttavia non sentivano il bisogno di nascondersi. 

La conseguenza del peccato originale non è fare esperienza della mancanza, del vuoto, dell’incompletezza; ma è vergognarsi delle proprie mancanze, delle proprie nudità. 

Visto che siamo prossimi al Natale, possiamo affermare che tale mancanza, tale nudità, è la grotta interiore che è destinata ad accogliere Dio. È sacra e deve essere mantenuta inviolata per far spazio al Sacro. Non importa se è solo una grotta, se non è una reggia o un albergo di lusso; è quello il posto che Dio si è scelto per venire ad abitare nel nostro cuore. Se lo riempiamo, Dio verrà ma non troverà spazio. Ad essere sacro nel nostro cuore non sarà più Dio ma tutte le cose con cui abbiamo riempito quel vuoto interiore. 

Possiamo riempire quel vuoto anche con una pratica religiosa, con le nostre preghiere, con la liturgia. La pratica religiosa non deve colmare il vuoto interiore ma deve aiutarci a stare nella mancanza. Deve cioè preparare l’incontro con Dio e non prendere il posto di Dio. 

Quando nel nostro cuore qualcosa che non è Dio ha preso il posto di Dio, ciò porta con sé un primo effetto perverso evidente: superiorità e disprezzo verso quelli che non condividono le nostre pratiche, i nostri ideali, i nostri stili di vita, le nostre idee politiche, la nostra religione, ecc. Il disprezzo per l’altro, per il diverso è il segno principale che nel nostro cuore non abbiamo incontrato l’Altro, il Diverso per eccellenza che è Dio. Madre Teresa di Calcutta diceva che sentirsi meglio degli altri è l’inizio del male.

A ciò fa seguito un secondo effetto altrettanto perverso: il tentativo di uniformare, di omogeneizzare tutto ciò che all’esterno ci appare diverso: non dobbiamo parlare lingue diverse ma tutti la stessa lingua (quella del più forte); non dobbiamo avere idee diverse ma tutti la stessa idea (quella del più forte); non devono esserci culture diverse ma una sola (quella del più forte); non devono esserci paradigmi economici diversi ma uno solo (quello del più forte); non devono esserci religioni diverse ma una sola (quella del più forte); e così via. 

È insomma il costante tentativo dell’uomo di fare del mondo una Babele unica. 

Aver sacralizzato nel proprio cuore ciò che sacro non lo è affatto comporta una costante lotta con tutto ciò che dentro e fuori di noi porta la vera impronta del sacro: l’altro, il diverso.


Nessun commento:

Posta un commento

L’Europa ed il trauma non risolto

L’Europa è bloccata internamente da un trauma non risolto il quale, come tutti i traumi, presenta delle manifestazioni tipiche: negazione (d...