domenica 7 dicembre 2025

Desiderio versus sicurezza

Sicurezza e desiderio sono agli antipodi. È per questo motivo che nel periodo dell’adolescenza in cui il desiderio è massimo è anche minima la sicurezza: impulsività, propensione al rischio, ricerca della novità e di sensazioni nuove sono tipiche dell’adolescenza. Il desiderio ha bisogno per emergere di incrinare i bastioni delle sicurezze che lo circondano; deve entrare in aperto contrasto in modo particolare con l’autorità, che è garante della sicurezza e della stabilità. Non c’è nulla che faccia più orrore all’adolescente della prospettiva di una vita stabile, routinaria e prevedibile. Di contro, non c’è nulla che faccia più orrore all’autorità costituita del cambiamento, del rinnovamento e della propensione al rischio. 

Tutte le nostre strutture sociali e politiche - riflesso di una società vecchia - sono dei bastioni contro il desiderio, il rinnovamento ed il cambiamento. Tutti i tentativi di rinnovamento della nostra società falliranno se non si inverte il trend demografico: ci vogliono i giovani, quelli veri, e non i vecchi che fingono di essere giovani. Sono loro - i giovani - i portatori della fiaccola del desiderio in una società. I vecchi vogliono, al contrario, sicurezze, stabilità, certezze; vogliono una tranquilla e comoda pensione. 

Non è mia intenzione coltivare un conflitto generazionale. I vecchi di oggi erano i giovani di ieri, hanno lavorato e si sono sacrificati e ora giustamente desiderano essere lasciati in pace a godersi i frutti del loro lavoro. Il problema non è l’anziano in quanto tale, il problema è che gli anziani sono troppi rispetto ai giovani; c’è una sproporzione eccessiva che determina non solo un innalzamento dell’età media, ma un generale invecchiamento culturale, psicologico, antropologico di tutta la società. Quei pochi giovani che abbiamo, a forza di essere circondati da anziani, hanno incominciato ad assimilarne i vizi: non desiderano più niente da questo paese, sono pessimisti, si oppongono ai cambiamenti culturali, hanno paura della libertà e dell’autonomia. 

Le speranze di cambiamento al momento sono riposte nella generazione di mezzo, quella che avendo vissuto due epoche diverse - l’epoca attuale e quella pre-internet -, sa che i cambiamenti sono possibili e, tuttavia, non è così vecchia da non averne più bisogno, da non desiderarli più. Ad onor del vero, questa generazione è anche quella maggiormente responsabile del calo demografico del nostro paese. Probabilmente è quella più propensa al cambiamento anche per via di un sano senso di colpa: deve ancora qualcosa a questo paese, non avendo generato figli. 

Non intendo dire che non abbiamo più nulla da sperare dai giovani. Sarebbe una visione eccessivamente pessimistica, tipica tra l’altro degli anziani. Ma dobbiamo rompere l’abbraccio mortale tra gli anziani ed i giovani, per liberare il desiderio di questi ultimi dall’immobilismo dei primi. 

Non intendo nemmeno dire che non abbiamo più nulla da sperare dagli anziani. Ci aiutano a vedere il mondo da una prospettiva storica, senza la quale rimaniamo degli eterni adolescenti, degli eterni Peter Pan.

Bisogna semplicemente avere chiaro che cosa si può pretendere da una generazione. Nonostante viviamo in un’epoca che separa eccessivamente la biologia dalla cultura, la biologia esercita la sua influenza sulla psicologia e sull’antropologia. Non si può chiedere ad un anziano di fare la rivoluzione, non ne ha le energie. Le guerre e le rivoluzioni da sempre le fanno i giovani, perché hanno il fuoco dentro. Si può chiedere però agli anziani di governare questo fuoco affinché non diventi eccessivamente distruttivo. 

Però oggi manca il fuoco. Che non lo portano gli anziani, ma i giovani. 

C’è una cultura da rivoluzionare, da svecchiare da tutte quelle incrostazioni ideologiche che sono retaggio di un passato che ormai non esiste più. Anche le idee invecchiano, e hanno bisogno di un ricambio generazionale. Le cornici interpretative che aiutavano a comprendere il mondo cento anni fa oggi non sono più adeguate. Ci vogliono idee nuove. Siamo ossessionati dalla produzione economica, ma c’è un’altra produzione, quella culturale, che è ferma da almeno settant’anni. È almeno dalla metà del secolo scorso che in Europa non si fa più vera cultura. Il boom economico ha spento progressivamente il fervore culturale, che ha sempre animato l’Europa. 

Siamo tutti nostalgici del boom economico, che ha portato benessere, ricchezza, diritti, pensioni, sanità, ecc. Tuttavia, se mettiamo gli eventi in una prospettiva storica, dobbiamo riconoscere che l’esplosione di ricchezza che ha caratterizzato l’Europa nella seconda metà del novecento è l’eccezione e non la norma nella storia europea. 

La principale caratteristica del continente europeo è il fervore culturale, è il fuoco del desiderio, non la pennichella di chi ha la pancia piena. Certo, questo fuoco non è stato sempre gestito nel migliore dei modi; la nostra storia è stata travagliata, caratterizzata da conflitti sanguinosi e guerre vergognose. Ma la soluzione non è anestetizzare il fuoco con le ricchezze; non abbiamo solo una pancia da riempire, ma anche una testa: e, si sa, si ragiona meglio quando lo stomaco non è troppo pieno. 

È Giovanna d’Arco ad incarnare il carattere dell’Europa, non il presidente della banca centrale.

[Giovanna all'assedio di Orléans, quadro di Jules Eugène Lenepveu (1886-1890), esposto al Panthéon de Paris.]


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