giovedì 18 dicembre 2025

La felicità impossibile nella religione del Progresso

Dal Settecento, secolo dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese, si affaccia in Occidente l’idea, che diventerà sempre più dominante con il passare dei secoli, per cui tutte le aspirazioni dell’uomo - di felicità, di pace, di giustizia, di libertà, di benessere - si possano realizzare in questa vita e su questa terra, e senza l’intervento di Dio. 

Nasce così una nuova religione, quella del Progresso, che si caratterizza per: 1) l’immanenza assoluta; 2) il ripudio di Dio sostituito dall’Io.

Scompare dall’orizzonte dell’uomo qualsiasi prospettiva trascendentale: questa è l’unica vita; prima della nostra nascita c’era il nulla e dopo la nostra morte ci sarà di nuovo il nulla. Di conseguenza, tutte le aspirazioni di felicità dell’uomo devono essere compresse nel breve arco della nostra vita terrena. 

Ovviamente il problema di questa religione non è il desiderio di felicità dell’uomo, che è pienamente legittimo, ma è l’affrancamento di questo desiderio da qualsiasi prospettiva trascendentale e da qualsiasi rapporto con un Dio che sia Sommo Bene, che incarni quindi tutti i desideri di bene e di felicità dell’uomo.

L’idea che l’uomo possa essere felice avendo come prospettiva, come origine e come fine della sua vita non il Sommo Bene, ma il nulla è paradossale. 

Sarebbe come pretendere che i passeggeri di un treno destinato a cadere in un burrone siano felici durante il viaggio. Questa religione può al massimo offrire il godimento come distrazione rispetto alla triste fine a cui è destinato l’uomo. 

Godimento però non equivale a felicità. L’uomo non può essere felice senza la consapevolezza della propria vocazione, e non può sapere quale sia la propria vocazione senza un rapporto personale con il Dio che lo ha creato, pensato e chiamato. E non può essere in rapporto con Dio se non è disposto a rinunciare a tutto ciò che nella propria interiorità ha preso il posto di Dio.

Veniamo quindi al secondo elemento fondamentale che caratterizza questa religione: il ripudio di Dio.

In questa religione è l’Io ad essere sacro. Fino alla prima metà del Novecento quando era ancora predominante la dimensione sociale nella vita dell’uomo, era l’Io-capo dei grandi gruppi sociali ad essere investito di sacralità. I capi delle nazioni, i leader dei movimenti politici plasmavano non solo la vita politica, pubblica, sociale ma persino l’interiorità dell’uomo o, perlomeno, avevano questa pretesa.

Dopo che le aberrazioni del nazifascismo e del comunismo hanno reso manifesto che i grandi gruppi sociali e i loro leader non sono capaci di rispondere ai desideri di felicità dell’uomo, quest’ultimo si è ripiegato sul proprio Io. 

Al culto del leader si è sostituito il culto di se stesso. 

Nella prima fase di questa religione i sacerdoti erano gli studiosi della dimensione sociale dell’uomo come, politologi, sociologi, filosofi sociali; adesso, nella seconda fase di questa religione i sacerdoti sono i professionisti della dimensione individuale dell’uomo come, nutrizionisti, psicologi, medici (dermatologi e chirurghi estetici in modo particolare), personal trainer, mental coach, esperti di crescita personale, ecc.

Per evitare fraintendimenti ed estremizzazioni talebane, preciso che il problema non sono le discipline e le professioni appena citate ma il loro uso al servizio del sacro. Ciò che nell’interiorità dell’uomo prende il posto di Dio, dell’unico vero Dio, del Sommo Bene è destinato alla lunga a creare aberrazioni. 

Quando il prossimo giudizio della Storia renderà manifesto all’uomo che egli non può essere Dio né di se stesso né di un altro uomo, forse comprenderà che la salvezza che sta cercando non la troverà nel progresso (individuale, sociale, politico, tecnico-scientifico, religioso, ecc.), ma solo in una relazione personale con l’unico e vero Dio.



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