Nei post precedenti (qui e qui) si è detto che la natura umana è la più incompiuta del regno animale ed è portatrice di una ferita molto profonda. L'uomo è l'unico animale che appare in lotta con la propria natura, in lotta con se stesso, in lotta con il suo proprio Essere: è l'animale che fa più fatica ad accettarsi e a vivere in armonia con il creato; fa fatica, soprattutto, a vivere in armonia con i suoi simili al punto che per difendersi (dai suoi simili e, quindi, da se stesso) ha riempito il pianeta di armi di distruzioni di massa. In tutti gli altri animali i pericoli maggiori non provengono dalla specie di appartenenza dell'animale: il topo, ad esempio, teme più un gatto che un altro topo. All'interno della stessa specie gli animali possono essere aggressivi tra loro per la contesa di un territorio, per la difesa della prole, per il primato nell’accoppiamento ma non vanno mai oltre i limiti imposti dai bisogni della loro natura. E, soprattutto, prede e predatori appartengono a specie diverse. L'uomo invece è l'unico animale che è capace di fare di un suo simile una preda; di sottometterlo, di annichilirlo, di distruggerlo per soddisfare non si sa bene quali bisogni. In sintesi: l'uomo è l'unico animale capace di autodistruggersi. Sul piano fisico, psicologico e spirituale.
Adesso dobbiamo fermarci un attimo per distinguere questi piani. Non mi soffermo sul piano fisico, è evidente che abbiamo un corpo ed una vita fisica da preservare. Meno evidenti e più difficili da distinguere sono il piano psicologico e quello spirituale, soprattutto in un'epoca che ha "psicologizzato" tutta l'esistenza. E noi professionisti della salute mentale dobbiamo fare un profondo esame di coscienza perché abbiamo contribuito enormemente a questa confusione. E non riconoscendo che nell'uomo c'è anche una vita spirituale ci ostiniamo a trattare problematiche spirituali come se fossero solo ed esclusivamente problematiche psicologiche. O, peggio ancora, impediamo alle persone di maturare una consapevolezza dei propri disordini spirituali perché lasciamo credere che sia sufficiente essere sani solo dal punto di vista psicologico. Molte persone effettivamente sono “sane” dal punto di vista psicologico, ma hanno soffocato la vita spirituale.
Partiamo dal piano psicologico. Per identificarlo utilizziamo il criterio principale per fare diagnosi di un disturbo mentale in psichiatria ed in psicologia clinica: i sintomi psicologici devono causare una compromissione del funzionamento lavorativo o relazionale. Cosa significa che l'uomo deve funzionare nel lavoro e nelle relazioni? Il verbo "funzionare", che è più appropriato ad una macchina - purtroppo così ci si esprime in psichiatria e psicologia -, fa riferimento alla capacità di autonomia nel lavoro e nelle relazioni. Cioè l'uomo ha necessità di maturare una capacità di autonomia nel lavoro per poter dare il proprio contribuito alla società, ed una capacità di autonomia nelle relazioni per non essere psicologicamente dipendente dagli altri. Il piano psicologico è il livello in cui si rende possibile questa autonomia. Specifico subito che autonomia non equivale ad autosufficienza. L'uomo è l'animale meno autosufficiente che esista. Non è in grado di provvedere da sé alla maggior parte delle sue necessità: vive in case che altri hanno costruito, indossa vestiti che altri hanno prodotto, mangia cibi che altri hanno processato, ecc. Autonomo quindi non è da tradursi con: non ho bisogno di nessuno e faccio quello che mi pare. Autonomo significa essere nelle condizioni di poter dare il mio contributo alla società, perché io ho bisogno degli altri ma anche gli altri hanno bisogno di me.
Arriviamo alla vita spirituale. Proviamo a definirla solo per quanto è necessario a distinguerla dalla vita psicologica.
La vita spirituale è la dimensione contemplativa dell’uomo. L’uomo non deve solo funzionare ma ha anche bisogno di contemplare il Vero, ammirare il Bello e conformarsi al Buono. Sono tutti e tre la stessa cosa perché la verità ha un’intrinseca bellezza, è piacevole ed è anche buona (in senso etico). Il che non vuol dire che non sia faticosa; molti esseri umani arrivano a sacrificare la loro stessa vita per la verità. Chi è alienato dal Vero inevitabilmente vive una vita falsa; potrebbe anche funzionare nella vita - anche se qualche scricchiolio è di solito presente nelle relazioni - ma la sua esistenza è inautentica. Sono i sepolcri imbiancati di cui parla Gesù nel Vangelo, persone che non sono consapevoli di essere malate (spiritualmente) perché la loro vita funziona relativamente bene; in queste persone una psicoterapia rischia di aggravare le problematiche spirituali non riconosciute. Al contrario, c’è chi non riesce a funzionare nel lavoro e nelle relazioni, ma vive un’autentica vita spirituale; queste persone invece rispondono abbastanza bene agli interventi psicologici. E poi infine c’è chi non “funziona” e non ha nemmeno una vita spirituale; in queste persone la psicoterapia potrebbe funzionare solo se la persona ha preso consapevolezza che ha anche problemi di natura spirituale.
Concludo evidenziando un aspetto: non è compito dello psicologo occuparsi della vita spirituale. La psicologia deve fornire gli strumenti per far funzionare meglio l’uomo. Il campo spirituale appartiene alla religione, alla filosofia, all’arte (e alla letteratura). La vita spirituale è quel mistero che ogni essere umano si porta dentro, che non può essere completamente compreso e spiegato ma che se c’è si vede subito: ogni autentico e disinteressato atto di amore proviene da questa vita spirituale. E al contrario: la sopraffazione del prossimo, lo sfruttamento del creato, il rifiuto dei limiti (in primis quelli dettati dal proprio corpo), la ricerca di un piacere egoistico, il ripiegamento su se stessi sono tutti segni di disordini spirituali.
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