venerdì 12 settembre 2025

La natura umana

Per aiutare (psicologicamente) un essere umano bisogna prima avere una chiara concezione dell’uomo, per evitare di essere come quei ciechi che guidano altri ciechi. Oggi la psicologia si è parcellizzata nello studio di aspetti mentali particolari (pensiero, inconscio, desideri, emozioni, immaginazione, ecc.) ma ha perso una visione d’insieme dell’uomo, una concezione dell’uomo. Che cosa significa essere un uomo? L’uomo è un animale? Se sì, in che cosa si differenzia dagli altri animali? 

Se non abbiamo una visione d’insieme dell’uomo rischiamo di ipostatizzare le funzioni psichiche, cioè rischiamo di considerare reale ciò che invece non lo è affatto. Nella realtà non incontriamo mai un pensiero, un’emozione, un desiderio; incontriamo esseri umani che pensano, che desiderano, che si emozionano. Qui è evidente la confusione con la medicina. In medicina se una persona subisce l’amputazione di un arto, quell’arto rimane reale anche se staccato dal resto del corpo. In psicologia al contrario non esiste un’emozione o un pensiero separati dall’uomo nella sua interezza.

A creare confusione si aggiungono anche certe frasi che usiamo frequentemente senza fermarci a riflettere sulla loro veridicità. Ad es., spesso si sente dire “gli uomini passano le idee restano”. Questa frase è falsa, resta ciò che un uomo ha fatto. Di molti filosofi non ricordiamo più il loro pensiero, perché la loro filosofia era fatua e, come tale, non ha inciso per nulla sulla realtà. Al contrario, nessuno dimenticherà mai l’esempio dei giudici Falcone e Borsellino, perché non hanno solo teorizzato la giustizia, ne sono stati un esempio vivente. La loro filosofia di giustizia era incarnata, sono stati uomini e giudici giusti fino al punto di pagare con la vita il loro amore per la giustizia. Le idee rimangono se le vediamo incarnate in un essere umano che ci fornisce un esempio di vita. Quindi rispetto alla frase da cui siamo partiti è vero l’esatto contrario: le idee passano, gli uomini restano!

L'uomo è un animale? Sì, ma un animale unico. L'unico animale capace di conoscenza intellettuale. Condivide con gli altri animali la conoscenza sensitiva, quella che deriva dai sensi. Gli animali sono spesso superiori all'uomo nella conoscenza sensitiva ad es., la vista e l'olfatto di una lince sono di gran lunga superiore alla vista e all'olfatto dell'uomo. Ma gli animali non sono capaci di rappresentarsi la realtà in concetti o idee. Per questo motivo non parlano.

Ho detto non parlano, non ho detto che non comunicano. Chiunque convive con un animale domestico sa bene che gli animali sanno comunicare, e anche molto bene. Talvolta anche meglio dell'uomo. Questo è uno dei motivi per cui spesso preferiamo la compagnia degli animali a quella degli esseri umani. L'altro motivo è che, essendo la loro natura più compiuta della nostra (come cercherò di spiegare a breve), la loro capacità di amare è pura e genuina. Non conoscono l'odio ed il rancore.

In ogni caso gli animali non parlano, pertanto vediamo la differenza tra parlare e comunicare, erroneamente considerati sinonimi. 

Noi comunichiamo tutte le volte in cui vogliamo ottenere qualcosa o vogliamo che gli altri facciano qualcosa per noi. Il bambino sa comunicare molto prima che abbia maturato la capacità linguistica. Perciò per imparare a comunicare non è necessario fare costosi corsi sulla comunicazione, basta osservare attentamente gli animali e i bambini.

 Il linguaggio invece è una capacità esclusivamente umana attraverso cui esprimiamo idee o concetti. I concetti sono i termini mentali con i quali ci rappresentiamo e conosciamo la realtà; sono il modo con cui possiamo conoscere la realtà al di là di ciò che è immediatamente evidente ai sensi. Se bevo un bicchiere d'acqua ghiacciata, non ho bisogno né dell'intelletto né del linguaggio per accorgermi che l'acqua è fredda, mentre se voglio conoscere la composizione chimica dell'acqua ho bisogno dell'intelletto e del linguaggio. Qui sta la differenza tra l'uomo e l'animale: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza.

Dalla conoscenza dipende un'altra capacità: la volontà. In ambito giuridico queste due capacità vengono accorpate in un'unica sola, la capacità di intendere e di volere. Non che il volere sia la diretta conseguenza della conoscenza. Negli animali il volere è suscitato dalla conoscenza sensitiva (ad es., la vista di una preda da parte di un felino) e da una cosa che potremmo chiamare istinto. L'istinto è una sorta di intelligenza intrinseca all'animale che lo muove ad agire con prontezza, con immediatezza, in sintonia con la sua natura. Non sappiamo bene che cosa sia l'istinto ma è certo che l'uomo non lo possieda. Ogni volta che noi uomini dobbiamo prendere delle decisioni dobbiamo ponderare tanti fattori, non abbiamo un istinto che ci dica con certezza quello che va fatto. Non che i comportamenti degli animali siano privi di errori, ma anche quando sbaglia l'animale è a suo agio con la sua natura, non passa le giornate a rimuginare e a rimproverarsi; il gatto non rimprovera il Creatore di non averlo fatto leone, l'ape non si chiede perché è nata ape e non mosca. Ogni animale sa il posto che gli compete nel creato. Non così per l'uomo. Per questo la natura degli animali è più compiuta di quella degli uomini. L'uomo si vanta di essere al vertice della catena evolutiva, in realtà è al vertice di una piramide rovesciata. 

"Se l'anima dell'uomo non fosse immortale, l'uomo sarebbe il più infelice degli animali", diceva il filosofo greco Plotino. La natura umana così come ci è data è molto lontana dal potersi considerare compiuta. Per questo l'uomo non si acquieta mai, non è mai soddisfatto, del matrimonio, del lavoro, della vita, degli obiettivi che ha raggiunto. 

Quindi che si fa? Ci rassegniamo all'incompiutezza?

No. Questo è quello che fanno i filosofi esistenzialisti. Lasciano l'uomo impantanato nella caducità dell'esistenza. Sia chiaro: la caducità dell'esistenza è reale non l'hanno inventata gli esistenzialisti. I filosofi esistenzialisti però non offrono soluzioni anzi, si spingono persino oltre pretendendo che l'uomo possano rappresentarsi l'essere in rapporto alla morte; ricordiamo il concetto di "essere-per-la-morte" ed il saggio "L'Essere ed il Nulla" di Heidegger. Per l'uomo la morte non è intelligibile, non può essere in nessun modo rappresentata o conosciuta; qualsiasi tentativo di spiegarla diventa un insulto soprattutto per chi ne viene toccato. Da qui quell'antipatia quasi istintiva che suscitano gli scritti dei filosofi esistenzialisti. Questo non significa che la morte debba essere negata - tutti moriremo prima o poi, è evidente - ma non può essere usata come termine per allargare la conoscenza di sé. La morte può essere accettata, ma in nessun modo spiegata, compresa o conosciuta. Può essere accettata solo quando la si vive, non prima, perché l'intelletto umano non è capace di nessuna rappresentazione anticipatoria della morte. Per questo motivo la cosa peggiore che si possa fare ad una persona che soffre è spiegargli la sofferenza. L'uomo è fatto per la gioia e per la vita, non per il dolore e per la morte, anche se dolore e morte fanno parte dell'esistenza.

L'intelletto umano concepisce solo la vita. Noi agiamo, ci comportiamo, pianifichiamo come se dovessimo vivere in eterno. Vorremmo che le cose belle non finissero mai, ci promettiamo amore eterno, cerchiamo in tutti i modi di rallentare l'invecchiamento del corpo. La vita è l'unica condizione concepibile dall'uomo. Si comprende meglio ora il significato della frase di Plotino citata prima. E se la filosofia può sembrare troppo astrusa, ascoltiamo i cantanti... 




     


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