martedì 23 settembre 2025

Interiorità e psicoterapia

 Le psicoterapie hanno diversi gradi di introspezione: la psicoanalisi, ad esempio, si presenta come una terapia molto introspettiva, si pone l'obiettivo di aiutare l’Io a conoscere ed integrare ciò che è ignoto persino all'Io stesso (che riesca effettivamente in questo proposito, come vedremo a breve, è tutto da dimostrare); la psicoterapia cognitivo-comportamentale non ha obiettivi di introspezione così alti, si propone di aiutare l’Io a funzionare meglio - parlo delle terapie che conosco abbastanza bene -. La psicoterapia cognitivo-comportamentale è più vicina ad essere una scienza nel senso moderno, cioè fornisce delle tecniche per far funzionare meglio l’uomo sul piano psicologico, come la medicina lo fa funzionare meglio sul piano fisico. Ovviamente un certo grado di introspezione è necessaria per qualsiasi psicoterapia, tuttavia la psicoterapia cognitivo-comportamentale non si spinge fino a ciò è ignoto all'Io, ma si limita per esempio a chiarificare e, successivamente, a mettere in discussione tutte quelle valutazioni, pensieri, giudizi che formuliamo e che alimentano la sofferenza mentale; ad esempio in un paziente che soffre di depressione, può diventare oggetto di trattamento il pensiero "è inutile che mi alzi dal letto per andare a lavorare tanto per me le cose andranno sempre male". Questo pensiero non è inconscio, cioè non è totalmente ignoto alla persona che lo adotta, al massimo può essere implicito negli atteggiamenti di un paziente depresso, ma non si tratta di una conoscenza completamente estranea all'Io. La psicoanalisi invece si spinge fino a ciò che è del tutto ignoto, fino a ciò che nemmeno il paziente sa di se stesso. E qui ci si espone ad una serie di rischi, ci si incammina in un terreno lastricato di insidie. Perché ciò che è estraneo all'Io è molto spesso estraneo anche alla psicologia, infatti la psicoanalisi percorre spesso un territorio di confine tra psicologia e filosofia (non di rado effettua anche delle incursioni nella religione). Molti psicoanalisti trattano infatti anche di filosofia e di religione (Freud stesso scrisse di religione). Fin qui non c'è nulla di male. Il problema è che spesso non viene chiaramente distinto il piano psicologico da quello filosofico e religioso. Filosofia e religione sono discipline autonome, non possono essere usate solo come stampelle per le teorie psicologiche. In questo modo si riduce tutta l'esistenza ad una manifestazione della psicologia dell'uomo, tutto è una proiezione psicologica e, quindi, tutto diventa oggetto della psicologia. Purtroppo Freud stesso ha inaugurato questa strada di "psicologizzare" tutto il reale. Lo perdoniamo. È stato un pioniere, e come tutti i pionieri si è spinto un po' troppo oltre. Lo stesso complesso di Edipo (ne ho parlato dettagliatamente qui) vede la sua origine secondo Freud in un divieto paterno, in un atto morale della figura del padre, e non in un generico divieto, ma in un esplicito divieto riguardante la sessualità. Ritengo personalmente che il complesso di Edipo sia la parte più illuminante e interessante della produzione intellettuale di Freud, ma solo un cieco non si accorge che dentro questo complesso ci sono elementi filosofici e religiosi che, come tali, non sono di esclusiva pertinenza della psicologia. Un'altra ambiguità della teoria freudiana riguarda il concetto di inconscio. Va detto che molti psicoanalisti con onestà hanno ammesso che non sembra esserci nell'uomo l'inconscio freudiano. Manca però il coraggio di fare il passo successivo: mettere definitivamente alle spalle l'inconscio, l'ignoto ed aprirsi con umiltà ad altre discipline, senza usarle come stampelle della psicologia. Ad es., all'ontologia che può dirci qualcosa sul rapporto tra l'Io, l'Essere e il non-essere; alla teologia e alla religione che possono dirci qualcosa su Dio, l'uomo e il male. Se non lo si fa, il rischio è di rigettare l'uomo reale per tenere in piedi un qualche tipo di inconscio psicologico a cui ci siamo affezionati, per via di quell'atteggiamento tipicamente umano di rimanere attaccati alle teorie e rifiutare la realtà.

Ricordo che un enunciato per dirsi scientifico deve essere universale. La legge di gravità è scienza perché è una legge universale (almeno nella fisica macroscopica): se ci sono due corpi ci deve sempre essere la legge di gravità. Anche per la psicologia vale la stessa cosa: se il concetto di inconscio psicologico fosse scientifico lo troveremmo in ogni uomo. Se oggi non troviamo l'inconscio nell'uomo non è perché ad un certo punto l'uomo lo ha perso per strada, ma perché Freud aveva preso un abbaglio, a causa di un utilizzo disinvolto e poco rigoroso di elementi provenienti dalla filosofia e dalla religione, che sono stati resi oggetto di una eccessiva "psicologizzazione".

Se l'Io ignora totalmente qualcosa è perché gli è completamente estraneo. E sottolineo: se qualcosa è totalmente estraneo all'Io è anche totalmente estraneo alla psicologia, cioè ci vogliono altre discipline, nel rispetto dei metodi e dei confini di quelle discipline. Non si prendano a riferimento i disturbi dissociativi o i disturbi gravi della personalità per sostenere una presunta scissione dell'Io o presunte forze ignote e inconsce. In questi casi la persona potrebbe non ricordare ciò che ha fatto o avere comportamenti estremi e contradditori, ma nel momento in cui agisce la persona riferisce a sé gli atti che compie, quindi non gli sono estranei, anche se dopo potrebbe pentirsene o prenderne in qualche modo le distanze. Aggiungo che sui disturbi di personalità ne sappiamo ancora molto poco, e pochi progressi faremo se continuiamo a fare i rapaci di altre discipline anziché fare un’analisi dello stato dell’arte con umiltà. Ad onore del vero va detto che questo atteggiamento rapace non è esclusivo della psicoanalisi, ma di tutta la psicologia, basti pensare alle abbuffate di mindfulness e di terapie orientali che ultimamente stiamo facendo. 

Concludo ricordando che l’Io è un concetto che la psicologia ha preso in prestito dalla filosofia, l'Io è la consapevolezza immediata che abbiamo di noi stessi come enti distinti da tutto ciò che ci circonda. È il cogito ergo sum di Cartesio. Penso quindi sono. Al cogito possiamo anche aggiungere desidero, soffro, gioisco, agisco, ecc. Per via di ciò io so di essere (qualcosa). Quindi l’Io per sua natura è già capace di consapevolezza e soggettività. Ce n'è già abbastanza per fare psicologia.



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